KAI FAGASCHINSKI & YAN JUN, Graveyard Processions
Siamo a Berlino. È qui che si incontrano Kai Fagaschinski, clarinettista germanico, e Yan Jun, vocalist cinese. Insieme, dopo anni di frequentazione, stima reciproca e passioni comuni come il buon cibo e la musica heavy metal, decidono di registrare insieme 4 brani a casa di Kai, che vanno a creare la processione al cimitero di qui sopra. Il primo brano, “Growls & Slippers”, è significativo fin dal titolo: ringhi e pantofole. Non c’è infatti sfoggio di tecnica e tensione, ma l’unione di versi potenzialmente aggressivi come quelli emessi da Yan Jun, mantenuti però in forma placida ed accarezzati dal fiato di Kai Fagashinski, a creare una sorta di bassa e dinoccolata forma sonora. A metà brano poi la musica s’interrompe lasciando lo spazio a rumori d’ambiente, versi e gorgoglii di natura misteriosa, come se delle piccole bestiole si fossero impadronite dello studio di registrazione, sopra alle quali rientra a tratti il clarinetto, il traffico dei dintorni (placido e rilassante), in una commistione ambientale bizzarra e sorprendente, prima che l’ugola di Yan torni a terminare il brano officiandolo con i suoi toni bassi.
Il brano seguente è uno stralcio di 1:42 che potrebbe rappresentare una sorta di beat-box materico e salivare unito ad un racconto fra lallazione e rumore vocale, sorta di ponte prima di “Beneath The Winds Of Beyond”, titolo che mai fu così preciso nel descrivere cosa stiamo ascoltando. Soffi, sbuffi, mareggiate e la sensazione di essere soli di fronte alla forza degli elementi della natura, quasi come se potessimo sbirciare negli studi dei rumoristi cinematografici degli anni Trenta, dove con ingegno e mezzi rudimentali si andavano a creare gli effetti per accompagnare le pellicole. Così qui, dove la percezione dell’azione umana nei respiri rinforza il proprio operato dandogli calore e verità.
In “The Festival” le moine vocali vengono rinforzate dai rintocchi di una campana, in una forma gutturale che sembra avvicinarsi al suono primigenico dell’Om. Ma c’è molto altro ovviamente, con un percorso che vede i due artisti fondersi e unirsi nelle maniere più disparate, creando una vera e propria suite dove gli strumenti mutano senza confondersi mai e mantenendo una conversazione fra i due poli vitale e curiosa.
Oltre alla conoscenza di due artisti parecchio intriganti questo disco ci dà l’occasione di conoscere anche una nuova (per noi) etichetta, la lussemburghese Ni Vu Ni Connu, che dando una scorsa al catalogo ha già avuto dalla sua ottime produzioni come Polwechsel, John Butcher e Jan Jelinek, alla quale presteremo sicuramente molta attenzione in futuro. Ma ora la processione è finita, usciamo dal campo santo a spargere i nostri fiati per il mondo.