JULINKO, Nèktar

Nuovo album per Giulia/Julinko, qui accompagnata (ancora) da Carlo Veneziano (alla batteria e al synth; è anche nei One Dimensional Man e nei Robox), oltre che da Francesco Cescato al basso. Il pregio più importante di lei è la riconoscibilità: la voce è inconfondibile e l’interpretazione è sempre viscerale, sentita, di sicuro un po’ sopra le righe, ma è inevitabile. Ogni disco suona primordiale, “urgente” e ogni pezzo bypassa la tua parte razionale.

Posto che sono di parte più del solito, dato che ascolto senza stufarmi molto materiale simile, anche la musica di Julinko è molto buona: qualche melodia storta di chitarra (elettrica, tranne un’eccezione meritevole) entra proprio in testa e la potenza è ai livelli degli inizi, per non dire superiore. Al di là del cantato, che è bruciante come quello di tante eroine post-punk, no wave o goth, e senza dimenticare delle infiltrazioni noise-rock che prima non c’erano, penso sempre agli Swans, ai più vicini Father Murphy e mi verrebbe da scrivere anche a Chelsea Wolfe, già sentendo il primo pezzo di Nèktar. Il rischio, con quest’ultimo spunto, è che qualcuno pensi alla mandrakata, visto il successo della formula “cantautrice doom”. A me, piuttosto (e come capita regolarmente a tutti noi quando un italiano può giocarsela con americani e inglesi), è venuto da chiedermi cosa succederebbe se il prossimo disco uscisse per un’etichetta più strutturata come la Sargent House, cosa che per me ha del tutto senso. L’idea è che, pian piano, Julinko, scrivendo e scrivendo canzoni, suonando in giro, stabilizzando la formazione, registrando in posti seri… stia acquisendo quell’esperienza, quella solidità e in un certo senso quel mestiere che servono per far circolare davvero il suo nome.