JOZEF VAN WISSEM + CANARY PIPE, 18/11/2017

Trieste, Chiesa Evangelica-Luterana.

Wunderkammer esiste a Trieste dal 2006 e propone rassegne di musica antica (ma non solo). Quest’anno “Distanze” porta su vari palchi un pugno di artisti nazionali e internazionali che utilizzano strumentazione antica/etnica e si ispirano a tradizioni sviluppatesi quando ancora non si potevano registrare dischi. In questo modo il pubblico può – tra le altre cose – scoprire come loro adattano e ibridano un repertorio che si fonda su epoche passate e da esplorare (e da re-inventare o ri-creare? Il discorso è lunghissimo, non voglio farlo e non credo di saperlo fare solo perché ho tutti i dischi dei Dead Can Dance a casa…).

Al di là dei due live, di questa serata ricorderò soprattutto la cornice meravigliosa della Chiesa Evangelica-Luterana di Trieste, in possesso tra l’altro – come noto in città – di un’ ottima acustica, ma soprattutto la signora attempata, d’aspetto e non d’animo, che corre al banchetto dei dischi per portarsi a casa il vinile di Jozef van Wissem, il vincitore di Cannes, il liutista che suona con Jarmusch, collabora con Zola Jesus e sta su etichette come Sacred Bones, Important oppure – per la seconda volta questo novembre col suo nuovissimo album – su Consouling Sounds, realtà belga che in catalogo ha gente come gli AmenRa…

La scelta di Wunderkammer, apparentemente una delle sue più oltranziste, per quanto coerente con il disegno iniziale (cosa vuol dire oggi interpretare musica antica?), verrà premiata e otterrà l’effetto di unire pubblici di diverse generazioni e in qualche modo di regalare ai giovani un posto nuovo dove assistere a un live, in una Trieste dove sono proprio soprattutto i posti a mancare. Speriamo che altri si mettano in scia e sfruttino quest’edificio per questo tipo di cose, come accade già in Europa con altre chiese protestanti. A bocce ferme, parlando con gli organizzatori, pare che alcuni aspetti tecnici siano come logico ancora migliorabili, ma l’applauso infinito dopo il bis di van Wissem mi fa pensare che va bene comunque così, anche perché la platea non è certo composta da sprovveduti, anzi c’è pure chi in regione si sbatte per mettere in piedi concerti nelle location più varie.

The New Noise ha intervistato due volte Jozef e lo ha affrontato su disco e dal vivo, quindi mi siedo convinto che non avrò molto da aggiungere al discorso, ma poi mi accorgo che è insolito osservare quest’uomo per “contrasto” con l’opening act Canary Pipe, cioè Irene Brigitte (voce e talvolta chitarra acustica) e Ilaria Fantin (arciliuto e a volte voce): le due hanno un repertorio che parte dal Seicento ma prova a parlare a tutti, per esempio tramite Nick Drake, i Beatles o David Bowie, toccando poi temi d’attualità (Regeni) e compositori contemporanei. La loro compostezza (per quanto temperata da ammiccamenti pop) fa emergere quanto di “irregolare” c’è in van Wissem. Questa sera si finisce per notare alcune sue asprezze, le dissonanze, le parti dolorose, l’approccio minimalista, certi gesti quasi “rock” con lo strumento. Superfluo sottolineare la differenza tra le voci: se Irene Brigitte adotta con disinvoltura registri classici come moderni, uscendosene a volte dal tempo presente, lui sembra sempre una più “vicina” (?) via di mezzo tra Curtis e Cave, fatte le debite proporzioni e tenuto conto che i suoi pezzi sono generalmente strumentali, anche se alla fine rimarranno in testa a molti il mantra “love destroys all evil and frees us” di “Love Destroys All Evil” (tratta da It Is Time For You To Return del 2014) o quel ripetuto “do you ever feel like you want to…” di “Detachment” (tratta da When Shall This Bright Day Begin del 2016). Per inciso, c’è anche spazio per qualcosa dall’ultimo Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back e dalla soundtrack di Only Lovers Left Alive. Diverso, insomma, è quando l’ascolto dei dischi di Jozef van Wissem avviene tra quello di Dead Neanderthals e Wiegedood (per nominare due gruppi ai quali si trova accanto su Consouling), nel qual caso è inevitabile soffermarsi sulla sua alterità rispetto alla nostra epoca… Dai, anche oggi abbiamo imparato qualcosa.