JONE TAKAMÄKI / UMUT ÇAĞLAR / FAHRETTIN AYKUT, Myth Of The Drum
Una delle caratteristiche più affascinanti, dal limitato punto di vista della “critica musicale” occidentale, del fermento artistico turco (ma estendibile a Egitto, Libano…) è uno strano, quasi indefinibile, senso materico del ritmo. Una sorta di intensità sismica, sotterranea, che emerge dalle tracce coadiuvata dal ben più evidente, e ormai conosciuto dagli ascoltatori, approccio ipnotico e sciamanico alla ripetizione. I meccanismi di feedback culturale sono argomento di discussione da decenni (basti vedere “Japanoise” di David Novak) e nonostante se ne sia parlato molto per ambiti ben diversi da questo, sarebbe interessante calare le stesse dinamiche nello strano cortocircuito-Jazz fra Medio Oriente e Occidente. Myth Of The Drum. Urban Transformation, edito da Zehra, ce ne offre la ghiotta opportunità perché, assieme a Fahrettin Aykut (ex batterista del gruppo turco Baba Zula) e Umut Çağlar (multistrumentista militante negli ormai celeberrimi Konstrukt e Karkhana, entrambe formazioni turche) compare, ai fiati, il finlandese Jone Takamaki, storico protagonista della scena free-jazz nordeuropea.
Posto che la paternità di un genere, o meglio dire pratica, come quella dell’improvvisazione, dell’estensione dello strumento oltre i propri ortodossi limiti sonori, è un tema controverso e che non ha motivo di essere sviluppato in questa recensione, è evidente che un substrato culturale come quello turco, in cui domina da secoli una ricchezza percussiva, sia perfetto per lo sviluppo di un sistema di feedback con la tradizione “free” europea. Uno scambio talmente prolifico da generare la magnificazione di alcuni tratti sonori come, appunto, la sismicità delle percussioni che, in questo disco in particolare ma in tutto il recente filone musicale turco in generale, esplodono in un caleidoscopio timbrico unico. Infatti il “mito” al quale si riferisce il titolo è quello del ritmo, delle pelli, dell’oggetto da percuotere, premiato da un primo piano pressoché costante anche dalla produzione.
Non è un caso quindi che Fahrettin Aykut, che oltre musicista è anche architetto, abbia promosso la trasformazione della sua installazione multimediale del 2017, “Urban Transformation”, in un lavoro musicale, condensando nei brani, in maniera molto evidente a posteriori, la sua sensibilità visiva e “strutturale”. Di fatto il ritmo può essere inteso come organizzazione dello spazio, come una costante opera di architettura sonora. Sarebbe però superficiale soffermarsi solo sulla componente percussiva dell’album (anche se, ammettiamolo, l’ascoltatore è portato a farlo per tutti i motivi di cui sopra). Jone Takamaki si dimostra un perfetto partner per lo sviluppo della narrazione, fondendo con facilità il proprio background free-jazz e i suoi fiati con le sonorità microtonali portate da Umut Çağlar, adatte alla fluidità dell’improvvisazione. Il finlandese, nel corso degli otto frammenti che compongono l’opera, suona anche lo “shakuhachi” e l’“hocchiku”, flauti della tradizione giapponese, facendo virare le tonalità dei brani verso uno strano territorio percettivo, generando un senso di spaesamento, non necessariamente sgradevole.
Myth Of The Drum. Urban Transformation è un disco-studio sulla potenza del ritmo come elemento centrale della narrazione musicale. Così va approcciato, seguendo il percorso ipnotico che è in grado di far intraprendere all’ascoltatore.