JOHNNY MOX, 7/12/2012
Torino, Fattore K.
Johnny Mox è un predicatore e musicista instancabile, viene subito da pensare. Questa volta è a Torino (è una serata freddissima), ospite di un grazioso locale situato nel quartiere Vanchiglia.
Arriviamo puntuali, troppo, e dopo aver ingannato il tempo scolando un paio di birre niente male, lo salutiamo velocemente e gli facciamo l’in bocca al lupo per l’esibizione.
Si comincia, senza tanti preamboli, con i suoi concitati sermoni che ben conosciamo, e il divertimento è assicurato. I pezzi dall’album di esordio, We=Trouble (ora in uscita vinilica per la sabauda Escape From Today), dominano il breve act, nella fattispecie risultano più sciolti rispetto al disco, vuoi per l’evidente differenza da una registrazione ufficiale, vuoi perché on stage il tutto assume chiaramente forme diverse, in questo caso l’uso maggiore degli effetti e della voce fanno la differenza. La loopstation a un certo punto si inceppa ─ ma l’inconveniente è subito sistemato ─ e si ricomincia a fare sul serio, (“Steady Diet Of Loathing” è notevole come al solito, citazione fugaziana compresa). Unica nota negativa il volume, a volte troppo basso, in particolare proprio sulla voce, che di fatto condiziona l’esibizione. L’ex Nurse!Nurse!Nurse! non si perde certo d’animo, e continua per la sua strada. Gli strumenti che usa sono simili a quelli di Owen Pallett (Final Fantasy), quindi si parte da una serie di suoni registrati al momento che costituiscono poi l’ossatura del live, in una felice ottica diy che praticamente tutto può far accadere (suona la batteria, canta e fa il beatbox con la sola voce). Altro motivo d’interesse è la sua mimica: ad un certo punto, mentre sale ancora sulla cassa della batteria, sembra quasi di vedere un Adriano Celentano imbizzarrito (in particolare quello degli esordi) che canta il gospel come fosse impossessato da un bruciante ballo di San Vito. Passateci la provocazione, ma affermiamo questo solo per rafforzare la sensazione che il ragazzo abbia della stoffa.
In chiusura, dopo avere presentato anche un pezzo dall’ep acustico appena uscito (Lord Only Knows…), ci saluta con una inaspettata e anfetaminica cover di “Cold Water” (dall’album Lost Light) degli Old Time Relijun, tanto per ribadire le sue origini legate al punk e al folk più deragliato.
Il musicista trentino ne farà ancora di strada, ne siamo certi.