John Carpenter dixit

Carpenter - foto di Kyle Cassidy

John Carpenter è un caso quasi unico nella Storia del cinema. Autore completo (cura quasi sempre sceneggiatura, montaggio, musiche e regia dei suoi film), assieme a George Romero e David Cronenberg è quello che negli anni ‘70/’80 ha “elevato” il film di genere a colpi di genialità, professionalità, originalità e, soprattutto, di una precisa idea di cinema. Oltre a essere uno dei pochissimi registi che sono anche compositori delle musiche dei loro film, il che dà una marcia in più a tutte le sue opere. Ad esempio, narra la leggenda che durante le prime proiezioni di “Halloween” (1978) la gente in sala si tappasse le orecchie dalla paura, piuttosto che i più canonici occhi. Che poi, se vi vedete il film, il dubbio che questa sia solo una leggenda viene per forza.

Figlio di un maestro di musica, e fin da ragazzino innamorato del cinema, sia quello dei grandi maestri come Hawks e Welles, sia quello low budget di Corman e Jack Arnold, può vantare un percorso costellato da piccoli grandi capolavori, alcuni dal successo commerciale clamoroso, altri in anticipo sui tempi e solo recentemente rivalutati per quello che sono, capolavori appunto. Da “Dark Star” (1974), meravigliosa parodia del 2001 kubrickiano, provvisto di dissertazioni filosofiche che fanno impallidire i pipponi di Nolan in “Interstellar”, alla rivisitazione metropolitana di “Un dollaro d’onore” (Howard Hawks, 1959) in “Distretto 13 – Le brigate della morte” (1976) e poi in versione fantascientifica con “Fantasmi da Marte” (2001). A Carpenter si deve la paternità dell’antieroe per eccellenza, Jena Plissken, e la sua rocambolesca fuga prima dalla New York trasformata in megacarcere in un 1997 violento e distopico (“1997 – Fuga da New York”, 1981) e poi da una Los Angeles devastata e postapocalittica (“Fuga da Los Angeles”, 1996), nonché “La cosa” (1982), il cui terrorizzante pessimismo cosmico e il senso di totale impotenza portò a pietosi risultati al botteghino (anche perché ebbe la sfiga di uscire due settimane dopo che il tenero alieno che voleva telefonare a casa di Spielberg aveva fatto breccia nel pubblico americano a colpi di ottimismo e buoni sentimenti). Il fortissimo interesse per la meccanica quantistica, trattata dapprima in nuce nel divertissement “Grosso guaio a Chinatown” (1986), poi mescolata ai principali dogmi cristiani nel geniale Il signore del male (1987), rivisitata in seguito come critica alla politica economica e sociale destrorsa di Ronald Regan in “Essi vivono” (1988) e infine traslata nell’universo lovecraftiano in quello che al momento è il suo film più potente, “Il seme della follia” (1994). E poi film tv – “Elvis” (1979), “Avventure di un uomo invisibile” (1992), “Villaggio dei dannati” (1995) – collaborazioni a serie televisive – Masters of Horror (2005-2006) – fumetti – John Carpenter’s Asylum (2014) – consulenze per videogiochi – F.E.A.R. 3 (2011). E comunque, non abbiamo ancora citato tutta la sua produzione.

Conosciamo ora un pelo meglio il nostro John con un piccolo zibaldone di sue affermazioni, tratte dalle decine di interviste che ha rilasciato negli ultimi quarant’anni, prendendo spunto (e qualche citazione) dal lavoro di Fabrizio Liberti per il suo saggio “John Carpenter” (Il Castoro Cinema, 2003), e pescando dal nutrito archivio di interviste (tradotte in italiano!) del blog Il seme della follia, nonché interventi vari da altri siti, linkati a fine citazione.

Come descrivere un “film di John Carpenter”? Direi di guardare i miei film. Si può intuire. Non è difficile capirlo. Ho fatto film di generi diversi. Ho fatto film horror, film fantasy, di fantascienza, tutto quel genere di cose, ma i miei film riguardano principalmente l’immaginazione.

(dall’intervista a halloweendailynews.com, 31 ottobre 2014, traduzione Micol Basone per Il seme della follia)

La mia filosofia del cinema è che i film non sono opere intellettuali, non sono idee, come succede in letteratura. I film sono emozioni, un pubblico dovrebbe piangere, ridere o spaventarsi. Penso che il pubblico dovrebbe proiettarsi nel film, in un personaggio, in una situazione e reagire. […] Il cinema è un mezzo per trasmettere sensazioni. Un film invita il pubblico a dare consistenza alle idee, in senso psicologico, ad investire sullo schermo le proprie emozioni.

(Fabrizio Liberti, John Carpenter, Il Castoro Cinema, 2003)

È stata una scelta deliberata quella di andare in una certa direzione: Hitchcock, Hawks, Ford, Welles, i cineasti americani classici. Quando ho fatto i miei studi di cinema, sono loro quelli che mi avevano appassionato. Ma da un altro lato avevo un’altra sensibilità, quella della science fiction e del terrore… ma per me Hawks e Corman non sono in contraddizione. Io ho tentato di conciliarli.

(Fabrizio Liberti, John Carpenter, Il Castoro Cinema, 2003)

Il genere horror è praticamente rimasto sempre lo stesso fin dall’inizio. I film horror sono nati più o meno quando è nato il cinema. Tra i film più vecchi ci sono molti film horror. Thomas Edison ha fatto una versione di “Frankenstein”. Una delle cose positive dell’horror è che è molto duraturo. Dura negli anni. Cambia e si adatta ai cambiamenti sociali e al Paese. È uno dei generi più universali, se non il più universale, perché chiunque al mondo ha paura delle stesse cose. Non ridiamo tutti delle stesse cose, ma una gigantesca creatura che entra nel salotto fa sobbalzare tutti. Non importa di dove tu sia. Perciò, sono molto ottimista riguardo al futuro dell’horror. Al momento stiamo attraversando un periodo sovrannaturale, e si stanno realizzando un sacco di film a budget ridotto in stile found footage, ma va bene. Cambierà appena il prossimo grande film horror sarà pubblicato. Chissà da dove verrà? Dall’alto, dal basso, dal centro… chi lo sa?

(dall’intervista al Wall Street Journal, 5 dicembre 2014, traduzione Micol Basone per Il seme della follia)

La meccanica quantistica è la sostanza della fisica atomica, il più piccolo pezzo dell’universo. Secondo la meccanica quantistica, non è possibile per noi essere degli osservatori imparziali. Noi partecipiamo della realtà perché noi la creiamo guardandola. […] Le regole di comportamento che regolano il mondo dei quanti sono completamente diverse da quelle che regolano il mondo delle persone e delle automobili e del baseball. Gli scienziati usano la parola “contro-intuitivo” per descriverlo. […] Attualmente, non esiste un modo adeguato di tradurre in parole quella sorta di aura, quasi sovrannaturale, del modo di comportarsi della materia a questo livello di esistenza. Lovecraft scrisse storie di mondi nascosti appena oltre la nostra percezione che erano infinitamente più strani di quello che noi possiamo mai immaginare. Anche questa sembra essere una descrizione adatta al mondo dei quanti.

(Fabrizio Liberti, John Carpenter, Il Castoro Cinema, 2003)

Ho sempre amato il suono della musica elettronica fin da quando ho cominciato ad ascoltarla nel 1960; credo però che la prima influenza sulla mia musica sia ancora precedente, intorno al 1956. La colonna sonora per “Forbidden Planet” (“Il pianeta proibito” di Fred M. Wilcox, 1956), completamente elettronica, fu assolutamente innovativa. Posso ancora ascoltarla oggi e percepire le sensazioni di un ragazzino di otto anni che va al cinema. Quando ho cominciato a comporre colonne sonore, volevo ottenere qualcosa che potesse suonare in modo imponente e che allo stesso tempo fossi in grado di riprodurre su una tastiera. L’idea di poter suonare archi, fiati o un contrabbasso attraverso l’uso di una tastiera era assolutamente incredibile.

(dall’intervista a Indie Eye)

Stavo confrontando la musica da Topolino, con il tipo di musica che faccio io. La musica da Topolino è quella che Max Steiner ha fatto in “King Kong”. I passi di King Kong sono sottolineati dalla colonna sonora: bom-bom-bom. La musica da Topolino è questo eccesso di colonna sonora. È quello che succede oggi. Tutto ha troppa colonna sonora. La musica minimalista è per la maggior parte della mia epoca – degli anni ’60, ’70 e ’80, i Tangerine Dream ne hanno fatta… La colonna sonora de “L’esorcista” è un altro esempio. Non erano colonne sonore da Topolino. E con Topolino non voglio dire che siano stupide, o da cartone animato, ma tutto veniva sottolineato musicalmente: i passi, tutto. È per questo che Steiner era famoso.

(dall’intervista a vulture.com, 26 settembre 2014, traduzione Micol Basone per Il seme della follia)

Sul fatto che la colonna sonora de “La cosa” sembri opera di Carpenter e invece è di Ennio Morricone.

L’unica cosa che sembra fatta da me è il tema della scena iniziale. L’unica cosa. Tutto il resto è molto orchestrale e ricco. È bellissima. E io non sarei mai riuscito…non avrei mai saputo cosa farne. La gente pensa che il film abbia una colonna sonora che sembra fatta da me, [ma si tratta di] una sola traccia all’inizio e alla fine. La ragione per cui non me ne sono occupato io è che a) la Universal non ha voluto e b) potevamo permetterci di ingaggiare Ennio Morricone. Stai scherzando? A cosa sarei servito io? Quell’uomo è un genio.

(dall’intervista a grantland.com, 7 gennaio 2015, traduzione Micol Basone per Il seme della follia)

Il 95% della musica che compongo per la colonna sonora di un film è assolutamente improvvisato. Aspetto di aver ultimato tutte le riprese e soltanto quando il montaggio è definitivo inizio a lavorare alla colonna sonora. Potremmo definirla una situazione puramente istintuale.

(dall’intervista a Sugarpulp)

I film si muovono, sono movimento. Montaggio, movimento di camera, ecco cosa sono i film. Allo stesso tempo la tecnica non è fine a se stessa, è il mezzo attraverso cui raggiungi il pubblico. Non voglio fare un film in cui la storia sia subordinata alla tecnica… penso che il cinema sia un mezzo di comunicazione visuale e che la macchina da presa debba esprimere visivamente tutto ciò che accade. Il dialogo c’è per sostenere ciò che si vede, ma è il vedere che conta.

(Fabrizio Liberti, John Carpenter, Il Castoro Cinema, 2003)

Oggi impazziscono per registi come Michael Bay che ha fatto “The Rock” (ai tempi di questa dichiarazione, il caro Bay era già un insulto all’arte cinematografica prima ancora di tirar fuori dal cilindro i suoi Transformers…, ndr). È un film orribile. Offensivo. È quello che a Hollywood chiamiamo un film/sega. C’è una bella donna di fronte a te, una donna splendida, e invece di avvicinarti a lei per fare l’amore ti siedi, la guardi e ti masturbi. “The Rock” è un filmino sega. Devi far l’amore con quella donna. Non startene seduto. È una questione di energia. Il punto è tutto lì. Sono registi che vengono dalla pubblicità e dal video. Fateci caso. Vengono chiamati “shooter”, gente a cui interessa girare e nient’altro. Oggi ci sono registi e ci sono shooters.

(Fabrizio Liberti, John Carpenter, Il Castoro Cinema, 2003)

Cosa penso riguardo ai remake dei miei film? Ne ho visti un paio, ma non voglio commentarli perché sono i film di qualcun altro. È così che la vedo: non sono più i miei film. Preferisco quando sono il tipo di remake in cui il regista deve darmi dei soldi. Questo è il miglior tipo di remake che esista.

(dall’intervista a rogerebert.com, 19 agosto 2014, traduzione Micol Basone per Il seme della follia)

E adesso andate a (ri)vedervi tutti i suoi film.

Mediacritica nasce come progetto di critica cinematografica. Non una rivista di critica, come ce ne sono tante, ma un luogo di sperimentazione nel quale i partecipanti possono esprimersi nel campo giornalistico e saggistico.