JOHN BENCE, Archangels
La prima volta avevamo avvistato John Bence a Berlino il 29 gennaio 2019 al Berghain per il festival CTM ed era stato una vera apparizione fuori-contesto, o almeno incongrua, ma di certo fatale. Questo giovanissimo, vulnerabile ragazzo, leggermente sovrappeso e in total black, armato solo della sua voce baritonale accompagnata da rarefatti pattern elettronici, su quel palco dove avevano appena suonato gli Schtum e giusto prima di Croatian Amor, non sembrava a suo agio. Eppure con quella voce da redivivo Scott Walker in Tilt aveva lasciato il segno su quella rude audience alemanna, vista la richiesta, cosa inaudita, di un bis (comunque non concesso). Solo un paio di brevi ep, Disquiet e Kill (quest’ultimo registrato a Saragozza) pubblicati per la Other People di Nicolas Jaar a fronte di un intenso concerto di più di un’ora erano il magro bottino che trasmisi a “Battiti”, prevedendo per l’artista britannico un futuro radioso e invece… invece il nulla più totale.
Negli anni seguenti Bence sparisce letteralmente dalla circolazione, niente più concerti. Sì, è vero, intanto è arrivata la pandemia, ma niente dischi o altro. La realtà è che dopo la laurea in composizione conseguita al conservatorio di Birmingham, i primi concerti fuori dall’Inghilterra, le critiche entusiaste della stampa specializzata, Bence viveva uno stato di profonda depressione (“The Black Eyed Dog” by Nick Drake), aggravato da dipendenza alcolica. Racconta Bence: “A Londra ero sul palco di un teatro di cui non ricordo neanche più il nome assieme a William Basinski, davanti a centinaia di persone, era un sogno che si trasformò presto in incubo: un senso di vuoto, vertigini e nausea mi stringeva lo stomaco. Persi una occasione unica, dimostrando solo ingratitudine verso tutti e lì mi resi conto che quella esposizione pubblica mi rendeva paradossalmente ancor più infelice”.
John torna a Bristol e complice il lockdown si chiude in clinica… la probabile dissipazione di un talento. Invece ecco che dopo una riabilitazione di oltre due anni Bence torna in sala d’incisione nel 2022 e finalmente il 24 febbraio pubblica per la Thrill Jockey un disco clamoroso che tratta di redenzione, percorso di cura, di religione, d’inquietudine, il tutto traslato in questi 13 brani, quaranta minuti di pura estasi sonora elettroacustica in cui la su voce è ancora più matura e profonda. C’è più spazio per pianoforte, field recordings, per i silenzi, lo spettro sonoro è più ampio, ma la voce – quando interviene – è quella, come dire, salvifica di un arcangelo, ascoltare per credere “Michael, Archangel Of Hod”, “Raphael, Archangel Of Tipharet”, “Raziel, Archangel Of Chokmah”! Titoli ispirati all’induismo come alla Kabbalah ebraica, ma l’intenzione è assai lontana da quella che permea, per esempio, la produzione filo-ortodossa di un John Zorn: composizioni come “Tzadikiel Of Chesed”, “Kamael, Archangel Of Geburah” sono un inno alla pacificazione dell’uomo con se stesso e con gli altri.
“Sandalphon, Archangel Of Malkuth” e “Anu/Enlin/Enk (The Way Of Anu)” chiudono magnificamente un disco – ripeto – clamoroso, dalla bellezza lancinante quanto necessaria in questi tempi cupi. File under: rehab.