JLIN, Black Origami
A percussion-led tour de force
Musica per istallazioni o videogames, anche sonorizzazione a tratti allarmante. Questo viene da pensare al primo ascolto del nuovo album, successore di Dark Lotus e Dark Energy, della producer di Gary (Indiana) Jerrilynn Patton. La title-track, ad esempio, si presenta con ritmiche irregolari e tastiere come lame, e assomiglia a un electro-samba innestato su di uno sparatutto schizofrenico ed esotico. In “Kyanite”, invece, si estremizza il discorso andando a circoscriverlo con innato senso della provocazione: davvero pare di ascoltare musica da un altro pianeta, e lo stesso accade durante “Calcination”. Black Origami sembra un compendio di fonti sonore da inserire in libraries per esperti/appassionati di musiche legate all’elettronica di ricerca (non a caso tra i collaboratori c’è Holly Herndon), materiale da de-comporre mentalmente a piacere per poterne poi estrapolare delle singole parti. Non sappiamo se sia davvero questo l’intento della ragazza, ma più si ascolta Black Origami e più ci si rende conto del complesso di sensazioni e spunti in esso contenuti: a me ha ricordato vagamente lo spirito che si trovava in certe basi secche e futuribili di Afrika Bambaataa. Non è detto poi che l’insieme risulti sempre piacevole all’ascolto, i pezzi mi hanno ricordato anche la musica di Elysia Crampton, altro esempio di melting pot estremo e coscienzioso che può affascinare quanto annoiare perché magari ci si aspetta della musica in senso classico, che qui e in altre pubblicazioni di questo tipo non c’è. Si tratta certamente di post-musica, espressione contemporanea di un modo di comporre-agire poco interessato alle regole. La Patton prova a prendersi la briga e gli oneri di rappresentare più mondi, più modelli estetici, di fornire chiavi di lettura che nel migliore dei casi si fondono e hanno senso proprio a partire dall’idea stessa, quasi prima della musica stessa. La sua è teoria – e pratica – da prendere o lasciare.