JESTER BEAST
I torinesi Jester Beast hanno sempre ricoperto un ruolo atipico nel panorama musicale italiano: fautori di un crossover in grado di unire la furia dell’hardcore con le derive metal più interessanti all’interno di un’orgia sonora ricca di spunti personali, hanno saputo abbracciare l’immaginario del freak per dar vita ad una vera e propria filosofia che ne ha segnato l’approccio sonoro, così da renderlo libero da schemi e confini di genere. Sono passati moltissimi anni, ma questa voglia di andare contro-corrente e di prendere tutti di sorpresa non sembra essergli passata, a cominciare dalla decisione di tornare a far danni e pubblicare un nuovo lavoro, The Infinite Jest. A questo punto era gioco forza contattarli per fare il punto della situazione a cavallo tra passato e presente, gloriosi anni Ottanta e attuale seconda giovinezza.
Una nota personale: Mi avessero detto al tempo che nel 2013, non solo sarei stato ancora un fanzinaro, ma avrei anche recensito il nuovo disco dei Jester beast, probabilmente sarei scoppiato in una fragorosa risata… e invece…
Cominciamo dall’inizio, i gloriosi anni Ottanta. Epoca pionieristica per quanto riguarda certe sonorità e non solo in Italia. Che ricordi avete voi che ne siete stati protagonisti…
Steo (voce): Sono stati anni importanti, di formazione musicale e non solo. A Torino c’era una buona scena musicale alternativa con band di livello e diversi posti di “aggregazione” in cui poter esprimere le proprie idee. Era un modo di estraniarsi dal grigiore della città operaia, oppressa dall’egemonia della fabbrica ma con un’energia vitale, sotterranea. Il pubblico ai live era eterogeneo, capitava spesso che ai concerti prettamente metal ci fossero molte persone della scena hardcore punk e viceversa. Adesso sembra normale, ma nei primi anni ’80 non lo era per niente.
Siete stati sempre considerati dei freak all’interno della scena. Parte del tutto, ma in qualche modo al di fuori dal coro e con una personalità ben definita. A cosa credete sia dovuta questa caratteristica?
Era il nostro modo di essere. Mezzi hippies con molti vizi, a cui piaceva suonare veloce. Il termine “freak core” rappresentava al meglio la nostra musica.
Avete diviso il palco con alcuni dei nomi di punta della scena crossover a cavallo tra metal e hardcore, a partire da Cro-Mags, The Accüsed, Ludichrist. Che ricordi avete di quelle date e com’era andare in tour ai tempi?
In quegli anni non era facile aprire gli show per band straniere di un certo livello, le occasioni erano veramente poche. Salivamo sul palco spensierati ed incazzati come fosse la cosa più semplice e naturale che potessimo fare. La tournée europea di un mese coi The Accüsed per promuovere Poetical FreakScream è stata un’esperienza magnifica: il poter suonare ogni sera in una città diversa ed avere buoni riscontri fuori dall’Italia ci è servito molto.
Di sicuro la mancanza di internet rendeva le cose assai differenti. In cosa credi che oggi la rete vi faciliti e cosa credi si sia perso di quell’epoca?
Ricordo ore di coda alla Posta per spedire o ricevere pacchi e buste. Fortunatamente questo con internet non accade più, accorciando notevolmente i tempi di attesa per poter ricevere anche una semplice risposta o un feedback da persone lontane.
È cambiato sicuramente il rapporto musicista-pubblico e inevitabilmente quello con etichette e promoters. Ai tempi, l’acquisto di un disco era considerato come un evento, un occasione speciale per poter esplorare e studiare ogni centimetro quadrato di quello che sembrava un feticcio e godere o bestemmiare, a seconda del gradimento musicale durante l’ascolto. Ora nell’epoca del download impazzito si scarica di tutto, l’ascolto è diventato più sommario e superficiale tanto da non riuscire a distinguere, nei capienti hard disk, le schifezze dai tesori nascosti. La musica è passata in secondo piano, l’ascoltatore medio ha bisogno di altro e in questo internet gioca un ruolo importante, creando dispersione e confusione in molti casi.
Nel ’93 vi siete sciolti. Cosa è successo e cosa vi ha spinto a riformarvi? Credete che le ristampe dei vecchi dischi e l’accoglienza anche da parte delle nuove generazioni abbiano contribuito a farvi tornare la voglia di riformare la band?
Ufficialmente ci siamo sciolti nel ’95, ma nell’ultimo anno andammo avanti a stento.
Non volevamo fare una “reunion” celebrativa della band con qualche ristampa e un paio di concerti. Sicuramente sarebbe stato più semplice, ma la voglia e la consapevolezza di poter lasciare nuovamente un segno ci ha spinto a rimetterci in gioco come ai vecchi tempi. Non abbiamo risentito molto di questa lunga assenza, anche se all’inizio non è stato facile, sentiamo tutto sommato un certo rispetto e supporto sia da parte delle nuove generazioni che da quelli che ci seguivano da tempo, nonostante molte cose siano cambiate anche a livello musicale.
Chi fa parte dei nuovi Jester Beast? Chi sono i nuovi membri?
A parte i membri di vecchia data, cioè io (Steo/vox) e CCMuz (guitar), i nuovi Jester sono Roby Vitari (drums) e Pietro “Duracell” Grassilli (bass). Loro suonavano già insieme negli Headcrasher e successivamente nei T.A.O.Z. e in altre decine di band.
Il nuovo logo è opera di Away e non si può negare una forte influenza dei Voi-vod sui nuovi brani. Come vi siete conosciuti e cosa vi lega a questa band seminale, sia a livello personale che artistico?
Seguiamo i VoiVod dall’inizio della loro carriera e amiamo quel tipo di sound, ma non è una band “facile” dalla quale prendere ispirazione. Intendo dire che certe composizioni e arrangiamenti li devi “sentire dentro” e fanno parte di un tuo background musicale. Eravamo in contatto con la band molti anni fa tramite la loro Iron Gang, i rapporti si sono intensificati nell’ultimo periodo tramite la ditta di rullanti americani “Drum Shop USA” con la quale Roby collabora e di cui Away è endorser.
Vi va di presentarci il nuovo The Infinite Jest e raccontarci come è nato? Che sensazione fa avere un disco fuori dopo tutto questo tempo?
La seconda vita dei Jester Beast (per non usare sempre il termine reunion) è iniziata nel 2010 con un’altra formazione con cui cercavamo di proporre un sound più vicino possibile ai Jester anni Novanta. È stato un periodo molto utile per riprendere certi automatismi dopo tanti anni di silenzio ma dopo l’entusiasmo iniziale, avvertivamo la sensazione di essere i cloni di noi stessi vent’anni dopo. Avevamo trascurato tutte le idee e le composizioni in cantiere, che erano l’aspetto fondamentale del nostro ritorno, così, dopo un breve periodo di assestamento dovuto al cambio di line up, siamo riusciti a dare un seguito al nostro lavoro e The Infinite Jest rappresenta questo processo di identificazione.
Di cosa parlano i vostri testi? Cosa vi ispira oggi e che legame c’è con il passato e le vecchie?
Negli anni Novanta era consuetudine trattare nei testi argomenti a sfondo sociale; adesso parlare di rivolta, ribellione e disagio sarebbe troppo semplice e scontato, sono diventati ormai argomenti comuni che si possono riscontrare nella quotidianità dei tempi che viviamo.
Ora scrivo di temi che sento vicini, senza avere la presunzione di lanciar alcun messaggio. Scrivo per il sano piacere di farlo, mettendo in evidenza l’avvicinamento alla Grande Madre Terra e ai suoi popoli con l’evoluzione che essa ha avuto attraverso guerre, carestie, cadute di Imperi e il tentativo di globalizzazione occidentale. Ogni canzone ha una sua localizzazione geografica: dalle pendici dell’Himalaya all’antica Persia, da Calcutta alle profondità della crosta terrestre, da dove tutto ha inizio.
Seguite la nuova scena? Quali gruppi/realtà hanno colpito la vostra attenzione di recente?
Personalmente non seguo più di tanto la nuova scena e ascolto altri generi. Se devo fare qualche nome di band che mi hanno colpito, direi Virus e Mastodon.
Che progetti avete ora, quali i prossimi passi? Farete delle date per presentare il nuovo lavoro?
Stiamo partendo per un mini tour a supporto di The Infinite Jest e abbiamo altre date da confermare, nel frattempo continuiamo a comporre nuovo materiale.
Famous last words…
100% Freak Core!