JEGONG, I
Parlo di questo disco perché seguo da tanti anni Reto Mäder (Sum Of R, Ural Umbo, RM74, Pendulum Nisum e a suo tempo anche Hinterzimmer Records), un artista che ha dato forma a un sound nerissimo, allo stesso tempo sfaccettato e con un carattere molto forte, ambient music buia e soffocante. Qui, come spesso gli succede, si occupa quasi di tutti gli strumenti, presumo come sempre sistemando e riplasmando tutto con molta postproduzione, scegliendo lavorare a distanza (Svizzera-Stati Uniti) sulle percussioni con Dahm Majuri Cipolla, batterista dei Mono, che conosciamo tutti, e dei Watter, che non conosce nessuno. Il nome scelto per la band dirà qualcosa ai fan terminali del kraut, difatti il punto di partenza sono i Neu!, i Can e gli altri tedeschi dei Settanta, tutte storie che potevamo facilmente immaginare fossero tra le preferite di questi due. Ecco perché il disco comincia con un classicissimo motorik, giusto un po’ più rallentato (a Mäder piace lo slow-motion, dev’essere fan di John Woo) e perché l’idea che uno si fa inevitabilmente è quella di una colonna sonora per qualche serie a sfondo fantascientifico, vintage e dark q.b., come piace a Netflix oggi. Rispetto al passato, il ricorso esplicito a quell’epoca e quelle suggestioni è una novità per Reto, ma basta proseguire con l’ascolto per vedere la saldi subito alle atmosfere dense e oppressive di Ural Umbo e dell’esordio dei Sum Of R, a un suono che ti assorbe come fosse sabbie mobili, al prevalere del drone sulla spinta ritmica, che è solo un’opzione delle tante in gioco. Il gran colpo, con Jegong, è stato questo: rileggere un passato familiare, ma con così tanta personalità da farlo sembrare repertorio personale. Dura un’ora e sedici, e mentirei se scrivessi che passa subito: all’inizio mi ha molto affaticato, poi quando ci sono andato sotto per me è finita. Penso che abbiano esagerato e che potessero tagliare qualcosa. Precisato questo, con un po’ di buona volontà in tasca, in molti potrebbero apprezzare questo album.