JAMES GINZBURG, Crystallise, A Frozen Eye
Non è la prima volta che parlo di (una anche con) James Ginzburg, 50% degli Emptyset e uomo dietro Subtext. Per questo disco solista sembra prendere le mosse più dal minimalista Borders e dall’acustico Skin degli Emptyset che dall’ultimo loro album, Blossoms, che sperimentava sull’intelligenza artificiale. Oltretutto mette in gioco la sua esperienza con Subtext (o forse ci fa capire il perché di certe sue scelte), nel senso che si sente un’affinità con “riduzionisti” come Arkbro ed Erek.
Crystallise, A Frozen Eye è realizzato con un sintetizzatore Octave Cat, ma anche con uno Shruti Box, un dulcimer, un tamburo daf, una chitarra e altri strumenti a corda che erano stati creati su misura all’epoca di Borders (primo disco con cui gli Emptyset si rimettevano un po’ in discussione), per un nuovo tentativo di unire primitivismo e contemporaneità. Drone e reiterazioni, nulla di più, ma con cui Ginzburg induce sensazioni di estasi e meraviglia, lasciando immaginare – grazie alle varie combinazioni tra tutti gli elementi in gioco – nuove realtà (“The Eyes, Behind”) e strani mondi simili al nostro, ma luminosissimi (“Lines Tangled, Space Between”). La copertina e i testi contenuti nel libretto abbinato al disco sembrano suggerire che questa meraviglia sia legata al ritrovare o al ricordare spazi aperti come reazione al periodo di chiusura in casa dovuto alla pandemia esplosa nel 2020 in tutto il mondo: una specie di ricerca – tramite una sbornia di suono – dell’infinito o dell’indefinito, così da bilanciare la finitezza di case diventate (comodissime) prigioni.
Molto bello.