Jabu live at Submerge Festival, 8/3/2019
Bristol, The Brunswick Club.
Siamo ancora qua, io un pezzo che inizia con “siamo ancora qua” lo avrei già smesso di leggere… Ormai sente il fiato sul collo, ma il Brunswick Club resiste e rilancia ogni volta. Un tempo questi lunghi divanetti da stanze 10×10 erano i teatri principali di sbevazzate e smargiassate da weekend, un tipico night-club per uomini di cui oggi non resta altro che la mirror-ball al centro del soffitto. La crew CHAMP raduna sotto lo stesso tetto, in culo – per ora – al business degli appartamenti e uffici privati, scienziati pazzi tipo i due Copper Sound e altri artisti tipici locali che con intuito e tecnica disarmante creano dal nulla progetti che mescolano perfettamente tradizioni internazionali e nuove trovate tecniche e tecnologiche. Si passa con inspiegabile disinvoltura dalla riproduzione di un Intonarumori al dopodomani del folk inglese e dell’industrial, a volte anche nella stessa serata. Questa è Bristol, nonostante tutto e tutti, e i quasi mille homeless nelle strade dietro l’angolo, che conosco anche di persona grazie ai compagni donchisciotteschi di Feed The Homeless.
Jasmine è dolcissima, ma si fa piacere due secondi al massimo tre, giusto il tempo di aprire la sua finestra a forma di sorriso (tenendo ben salde le mani sulle cornici dei balconi) e poi richiuderla, perché tra essere farfalla ed essere aquila c’è una bella differenza. Stasera si proietta “Metropolis” al piano terra e sotto, in una vecchia pista da bowling abbandonata dalla vaga aria di perfetto centro storico di spaccio; Jasmine, coi due amici che danno colore in musica alle sue ali, tirerà bordate di r’n’b e soul del terzo millennio, sventolando il vessillo della ormai celebre crew Young Echo, della quale fanno parte sin dagli inizi. Dopo i primi secondi del live quasi tutti noi balenotteri spiaggiati sui divani a seguito di una lunga e dura settimana di lavoro e di coiti interrotti dai tipici sorrisi delle donne inglesi realizziamo che ok, certo, “Metropolis” è sempre un capolavoro che va visto e rispettato, ma stasera è meglio venire risucchiati dai tre Jabu. Io so che Jasmine è una farfalla e non mi aspetto certo che stasera si metta a fare un live alla Autobitch (le Autobitch sono due fulminate che gestiscono un baretto in zona e ogni tanto piombano all’improvviso nel mezzo di un cambio palco: una chiede in prestito una cassa, l’altra un microfono e mentre la prima inizia a battere il tamburo improvvisando sul momento, la seconda si mette a gemere e a fare urletti finto-orgasmici fatti di due/tre sillabe per massimo un minuto a pezzo; io ovviamente le adoro e prima o poi farò un report epico su di loro, giassapete…). Alex inizia sempre lui a cantare per primo, Amos traccia nell’aria quelle traiettorie di nubi e di cielo giuste per spingere i bassi dalle grotte di Redcliffe fino alla strada dove implacabili e sconsolati fanno parata continua i trasportapoveri comunali a due piani, i cui tragitti e tempi di viaggio sono i principali colpevoli di questi miei diari newnoisiani. Jasmine inizia a cantare sempre una frazione di secondo dopo Alex, come se prima di lanciarsi volesse essere sicura che non sarà sola mai. Jasmine è un anno fatto da un autunno di undici mesi, da passare sul divano abbracciati a guardare le nuvole che giocano a rincorrersi sul parco del cielo a sorsi di green-tea di John Coltrane e di Marvin Gaye. Con il corpo stiamo tutti a ondeggiare, Amos senza cantare ci prepara al decollo, poi Alex ci porta con la punta del naso a toccare le nuvole, Jasmine è lo spazio misterioso e definitivo tra le nuvole e Dreamland. La musica dei Jabu non è fatta per passare dai loro occhi ai tuoi: quando ti occupi di assaltare il cielo con la dolcezza devi entrare in un’altra dimensione e loro tre non guardano il pubblico per un solo secondo. Poi, all’improvviso, “Lay You Down”. Jasmine beve l’ultimo sorso di birra come se stesse tenendo tra le mani una tazza di tea appena rientrata a casa da un tipico diluvio autunnale, e apre le ali da sola. Eccola la farfalla che diventa aquila. Alex di fianco a lei la guarda per un attimo con grande contentezza. Lei, sempre con gli occhi chiusi, sa cosa sta succedendo. La mia serata finisce adesso, non ho altro da chiedere.
Sì ok, ci sono ancora altri quattro gruppi in programma dopo i Jabu, gli Asda per esempio, ma io ora sto sospeso in un non-luogo e basta. Poche ore dopo mi arriva un messaggio da un caro amico e capisco che è tempo di ritornare sulla Terra: è scomparso un grandissimo protagonista dello sport italiano, non solo del basket. Non puoi sorprendere gli altri se non coltivi in te la capacità di sorprendere te stesso, non puoi meravigliare nessuno se prima non alimenti ogni giorno la ricerca tra le meraviglie del mondo, che spesso si nascondono nei piccoli gesti quotidiani. Ciao Alberto, sono sicuro che sarebbero piaciuti moltissimo anche a te, i Jabu.
Grazie a Christalla Fannon per la foto.