Italian Electronic Master – intervista a Leo Anibaldi
La scusa per intervistare Leo Anibaldi viene dalla ristampa di un suo album ormai storico, Muta, uscito da poco per una nuova etichetta, la Lost In It. Il producer romano è persona di poche parole, preferisce concentrarsi sulle proprie cose, ad esempio quelle che escono per la sua Cannibald Records. Stiamo parlando di uno che ha esperienza da vendere e che di certo appartiene alla generazione precedente a quella cresciuta a pane e Internet, ve ne accorgerete leggendo le risposte.
La ristampa di Muta cade in un certo senso a fagiolo. Sono passati più di vent’anni dalla prima uscita di quel disco: da qualche tempo stanno ristampando parecchie cose, alcune per fortuna anche notevoli. Pure per te era arrivato il momento di tirare le somme di un suono, di una storia?
Leo Anibaldi: Ho quarantacinque anni e sono in carriera da più di venticinque, credo fermamente che se una persona sente la necessità di esprimersi in opere d’arte di qualsiasi genere debba assolutamente trovare uno stile ben definito per distinguersi dalla massa. Vorrei citare una frase della cantante Billie Holiday: «se devo cantare come fanno tutti allora è meglio rinunciare». La mia profonda ricerca spirituale ed anche intellettuale mi ha donato il sound che oggi tutti conoscono .
Che tipo di lavoro hai fatto sulle sonorità di Muta all’epoca e come sono cambiate queste nel tempo?
Muta è l’espressione più intima e privata di ciò che avevo in mente in quegli anni. Lavorai molto sulla creazione di ambienti o situazioni sonore uniche per trasportare l’ascoltatore in un mondo mai visitato prima. Credo ormai di aver temprato il mio stile e so quali determinate frequenze e melodie usare per stimolare la psiche umana, è una cosa che ho sperimentato su me stesso per poi tradurla nelle mie composizioni .
Torniamo un po’ indietro con la memoria. Chi è addentro alla techno conosce bene il tuo percorso o quello di Lory D, Mauro Tannino, di altri dj romani. Come e perché, secondo te, partendo dalla stessa città, siete riusciti a farvi apprezzare in Italia e in particolare all’estero? Qual è stata la carta vincente o le caratteristiche principali di questo rispetto che vi siete guadagnati singolarmente?
Sicuramente è stata la nostra intuizione in tempi non sospetti e l’infinita passione che ci ha distinto dalla massa, infatti quando iniziammo le nostre carriere, ed anche a frequentarci, passavamo l’intera giornata nei nostri studi di registrazione (intendo giorno e notte tutti i giorni, tutto l’anno). Ricordo il nostro affiatamento e gli scambi di idee, ma soprattutto un impegno incredibile nella fase di produzione (maniacale). Personalmente ho avuto la fortuna di realizzare dischi che sono stati best-seller apprezzati in tutto il mondo e credo che gli artisti da te citati avessero un loro stile ben definito, ed è questo che scatenò l’interesse ovunque, in particolare si parlava molto di Roma nei primi anni Novanta grazie anche al movimento (Rave) che abbiamo creato, infatti Roma e stata la capitale dei Rave per un breve periodo e ricordo che la maggior parte dei dj e produttori di un po’ tutti i Paesi del mondo desideravano suonare in Italia perché era il posto più in… Un ringraziamento sicuramente va ai nostri predecessori: Marco Trani, stimato a livello internazionale e con una tecnica di mixaggio unica, e poi Corrado Rizza e Giorgio Moroder, che sono stati insieme a me i primi a lasciare l’Italia e a lavorare all’estero.
Sono curioso di sapere da quali ascolti sei partito. E quali erano i primi dischi che avevi comprato da ragazzo.
Le mie radici non hanno alcuna contaminazione elettronica, bensì hanno trovato nutrimento nel soul-r&b, nella jazz-music, in particolare in alcuni lavori di Miles Davis come Bitches Brew, Agharta, le produzioni di Herbie Hancock, John Coltrane, nelle prime realizzazioni hip hop, per poi passare alla musica industriale di Coil e Psychic Tv, che produssero dischi con strumenti non convenzionali ed ambientazioni uniche. Certo, l’onda pink-floydiana si è radicata nella mia mente, ma i miei più grandi ispiratori sono gli artisti citati prima.
Come hai vissuto l’evoluzione del mercato discografico nella tua carriera, naturalmente nel tuo ambito di riferimento? Voglio dire, ci sono di sicuro delle differenze, di vendite, di costume anche, rispetto a, che ne so… gli anni Ottanta e Novanta. È un periodo quello odierno dove ormai i formati musicali sono alleggeriti, è tutto in cloud… È cambiata anche la concezione stessa della musica secondo il tuo parere, a partire proprio dall’uso di tecnologie più veloci da utilizzare?
Se parliamo di industria o mercato del vinile o della musica in tutti i formati, posso affermare che stiamo vivendo il peggior momento. Il mercato è saturo di musica e milioni di etichette che nessuno ascolta o compra, tutti si sentono artisti e compositori grazie alla facile accessibilità ed ai vari distributori digitali, che sono stati creati solo per accumulare la maggior parte di utenti possibili senza preoccuparsi della qualità di ciò che stanno divulgando in Rete. Una volta questo si chiamava post produzione, cioè un filtro fatto da persone competenti in grado di valutare le possibilità dell’artista. Per questa ragione la maggior parte della musica che conta è stata scritta quando questo meccanismo era ancora florido e non era facile come oggi pubblicare un prodotto perché le distribuzioni non lavoravano con qualunque cosa venisse loro proposta. Oggi basta avere un computer, una buona condizione economica per creare una label e distribuire la propria musica. Devo dire che anche i primi digital-shop come Beatport ed il software Traktor hanno contribuito alla morte del mercato. Infatti entrambi sono stati creati nello stesso periodo dagli stessi ingegneri e dj irresponsabili che hanno creato e pubblicizzato tutto ciò come un’illusione: tutti possono fare musica, ma proprio tutti, e fare i dj, anche se non conoscete la tecnica di mixaggio ci pensiamo noi con il Traktor che fa tutto da solo… Infatti possiamo ringraziare Mr. Richie Hawtin come maggior responsabile del decesso della musica, ma anche la nascita di iTunes è stata un cancro per l’evoluzione della musica, infatti ora non ha quasi più valore, le persone non sono più abituate a comprarla, oggi con cinque euro puoi sentire tutta la musica che vuoi.
Quali sono gli artisti e le band che hanno lasciato una forte eredità alla musica elettronica d’oggi?
Non saprei… forse tra i più recenti direi Squarepusher senza dubbio e Dave Tipper, che è un grande musicista.
E ci sono degli artisti, in particolare giovani, che secondo te meritano di venire supportati?
Faccio una vita molto riservata e non frequento molte persone come in passato. Sono un uomo solitario, amo la natura e gli animali, sono loro i miei eroi.
Chiudiamo coi progetti futuri. Immagino ce ne saranno…
Finiranno solo quando smetterò di respirare. Grazie per il tuo interesse.