ITAL TEK, Bodied

Bodied

Alan Myson si sta spostando dal dubstep verso qualcosa che sta tra ambient e colonna sonora, come Roly Porter, Paul Jebanasam, Emptyset e altri in questi anni, ma questo qualcosa è per tutti diverso e ancora in fieri. Il suo album Hollowed, uscito nel 2016, testimonia questo cambiamento.

Visto dall’alto, Bodied possiede la sua consistenza, data dalle basse frequenze (vedi il genere di partenza), ma ci sono spazi vuoti grandi e suggestivi usando molto bene anche i silenzi, la cui presenza fa sembrare per contrasto ancora più bella la musica. I battiti compaiono, sono potenti e incisivi, e in alcuni rari casi guidano ancora il pezzo, ma non sono sempre la spina dorsale di tutto, perché l’attenzione è spostata su synth (in alcuni casi direi una chitarra o altri strumenti processati) dal suono pieno, da film di fantascienza, spesso – se non proprio trasformato in drone – lasciato distendersi luminoso il più in lungo possibile attraverso il buio intorno. Myson, a proposito di synth, non ha paura della melodia e a volte sembra l’ultimo Perturbator senza l’obbligo degli ottantismi a ogni costo (è un paragone forzato che nessuno farà mai, ma giuro che ci penso a ogni ascolto). Difficile non lasciarsi tirare dentro al disco dal trittico iniziale “Adrift” – “Become Real” – “Cipher”, malinconiche, profonde e allo stesso tempo vulnerabili, così come “Blood Rain”, molto triste (e zuccherata), per cui è stato girato un video con due ballerine che si cercano e si perdono in continuazione. Per me, che di sicuro non sono il biografo di Ital Tek, una gran sorpresa: provate a sentirlo per bene, ma fate attenzione a non cariarvi i denti.