IRIDE, Artificio Naturale
Nonostante il titolo del primo brano sia “Laura Palmer”, non sono né Lynch né Badalamenti i riferimenti a farsi più vicini, bensì la Chicago più jazzata, che minuto dopo minuto mette su muscoli e diventa sempre più arrembante, come il classico elefante nella cristalleria che, al finale, si seda, non facendo danni ma causando solo un filo d’ansia. Loro sono gli Iride, trio composto da Zeno Merlini al sax alto, Silvano Martinelli alla batteria e Luca Scardovelli alla chitarra elettrica. Sembrano giocare, da massicci quali sono i cambiamenti di stile e di tono, quasi a volerci togliere subito ogni certezza. Avanzando sembrano giocare sul filo del jazz più noir, mostrando sempre lo scatto e il guizzo legato alla possenza. “Giacomo” strega, svisa e si acciambella con la grazia di un’anaconda di un paio di quintali. I brani trascinano da piani convulsi ad ambienti sognanti in un nonnulla, gestiscono bene tensione ed impeto, garantendo una varietà che stimola ad entrare, ad approfondire questo Artificio Naturale. La tempra dei tre è tale che paiono maneggiare strumenti ben più gommosi della norma, non si spiegherebbe altrimenti la loro capacità nel risultare talmente flessuosi e lisci. Dinamiche che allargano ed approfondiscono il campo da gioco. Jazz, certo, ma con una visione, un groove e una verve da sperare a tratti che la garra prenda il sopravvento ed entri la cattiveria pura. Come In “Bathtub”, in quell’attimo di sospensione, dove sarebbero perfette le urla e la deviazione verso un noir ma no, Iride non si scompone, gessato e la si chiude elegantemente con brio, la belva nascosta sotto la giacca a divincolarsi. Se ne vanno così, seguendo una probabile musa in “Nina’s Steps”, ad accogliere l’ospite per il gran finale: Mauro Ottolini alle conchiglie, per una spiaggia dalla quale rimirare mare e panorama. Laura Palmer ormai è lontana, la nostra iride si è acclimatata ma rimane sempre pronta a sorprendere.