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IRAN, Aemilia

Ascoltare musica è permesso,  purché non sia per divertimento personale

Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī

Hanno chiamato il proprio modo di fare musicaAyatollah-core”, poco più di una boutade che nulla dice del loro modo di suonare (debole ogni riferimento musicale al Medio Oriente – e va benissimo così) ma che molto racconta sul loro approccio alla materia, di quell’intransigenza condivisa da tanti musicomani in fase terminale (tipo il sottoscritto) per la quale l’evento musicale è depurato da ogni sospetto di intrattenimento per diventare una faccenda dannatamente seria (ma mai seriosa, sia chiaro).

Nei fatti gli Iran suonano qualcosa di difficilmente catalogabile: post-rock – per quanto sulla loro pagina Bandcamp dicano di volersi smarcare da tale etichetta –   parecchio spigoloso, in cui i riff sono appannaggio di organo (il “nostro” Nazim Comunale) e batteria (Rodolfo Villani dei Lourdes Rebels), mentre la chitarra (Andrea Silvestri) si occupa di stendere le campiture sul tracciato dei primi due, esito di una pratica di improvvisazione che li avvicina più al punk che al jazz. Il suono ricorda i migliori momenti dell’Italian Occult Psychedelia, se non avanzi di borgata come i Trans Upper Egypt.

Da poco uscito per Aagoo – etichetta del New Jersey da sempre attenta al Belpaese (Father Murphy, Inutili, Cristiano Deison con e senza Mingle, gli stessi Lourdes Rebels in catalogo) – Aemilia contiene sette tracce, ognuna intitolata con nomi di città: dell’antica Persia, dell’Unione Sovietica, del Regno delle Due Sicilie (le conversazioni in dialetto campano inserite in “Cuma” e “Bam” suonano più esotiche di qualsiasi film di Kiarostami in lingua originale), tra cui su tutte svetta “Regium Lepidi” (nome latino di Reggio Emilia), attraversata dall’intervento del clarinetto arrochito di Francesco Massaro (l’altro ospite è Alessandro Cartolari degli Anatrofobia, al sax baritono in “Qom”) e che si presta a colonna sonora ideale di notti agitate per riempire la vita in un’Emilia non più rozza e, a quanto pare, nemmeno tanto più rossa. Un disco che ha la rara capacità di trasportarti in un altrove non ben definito.