Invernoir, tra Swallow The Sun ed Emidio Clementi

Gli Invernoir nascono a Roma nel 2016. Da allora, con qualche cambio di formazione, pubblicano un ep e due album. L’ultimo, Aimin’ For Oblivion, è fuori da circa un mese: un manifesto doom ben strutturato, dove un amore sfacciato per i maggiori esponenti del genere (primi Katatonia, Swallow The Sun, My Dying Bride e compagnia bella) trova una sua dimensione, in un modo più personale e maturo rispetto al già ottimo debutto, uscito alla fine del 2020.

Vi siete consapevolmente approcciati in modo diverso all’aspetto compositivo per questo album? Lo trovo generalmente più “compatto”, ma vorrei conoscere l’opinione di chi ci ha lavorato.

Alessandro Sforza (chitarra, voce, drum programming): Approcciati in maniera diversa direi di no, per quel che mi riguarda ho cercato semplicemente di ottimizzare quanto fatto fino ad ora, rendere i brani un po’ più snelli e cercare un giusto equilibrio tra pesantezza e melodia. In poche parole, realizzare qualcosa che fosse più attinente ad una forma canzone tradizionale strofa/ritornello, ma con un approccio lento e pesante.

Avere delle forti influenze da band storiche può fornire una guida ma rischia di essere un limite alla creatività. Come vi ponete rispetto a questa mia palese provocazione?

In realtà io non ho particolare intenzione di sperimentare alcunché, cerco solo di proporre musica nello stile che più amo, alle volte richiama di più dei nomi storici, altre volte meno, penso però che in linea di massima il mio modo di scrivere, pur non essendo originale, ormai si riesca a riconoscere ed abbia raggiunto quantomeno una sua “personalità”.

Aimin’ For Oblivion è fuori da circa un mese e mi sembra sia stato accolto molto bene dalla critica, anche da quella internazionale che, si sa, è particolarmente esigente quando si tratta del genere che proponete. Avete notato delle differenze sostanziali rispetto a come è stato recepito il vostro album di debutto?

È stato sicuramente accolto con maggior entusiasmo rispetto al primo album, forse perché grazie alla nuova etichetta siamo riusciti ad entrare in canali che prima non erano stati raggiunti, bisogna inoltre sottolineare che The Void And The Unbearable Loss era uscito in piena emergenza covid, per cui non ha beneficiato di chissà quale promozione, soprattutto dal vivo. Ora per fortuna la situazione è diversa e anche solo aver potuto fare immediatamente il release party a pochi giorni dall’uscita del disco ha fatto la differenza a livello mediatico e di vendite.

Domanda spensierata e volutamente banale: con chi vi piacerebbe dividere il palco nel prossimo futuro o, addirittura, magari andare in tour?

Sicuramente con gli Swallow The Sun, band che noi tutti amiamo e con il quale il nostro chitarrista Lorenzo ha avuto la fortuna di condividere la vita on the road nel tour di supporto al loro precedente disco, dato che era turnista live per gli Shores Of Null, che erano l’opening act. Per lui è stata una bellissima esperienza e piacerebbe farla anche a noi.

Avete valutato l’ipotesi di tirar dentro qualche special guest nei prossimi lavori? Se sì, avete dei nomi in mente?  Se ne può parlare?

Ogni volta che sono in procinto di scrivere un disco penso sempre a questa cosa e mi vengono in mente dei nomi, ma poi, quando ho concluso le registrazioni, quasi sempre penso che nessuno dei pezzi si adatti per chi avevo in mente. Ad ogni modo mi piacerebbe da morire avere la voce di Mick Moss degli Antimatter su un nostro brano, sarebbe fantastico.

Quanto impatta essere italiani, nel vostro caso, nella formazione dell’immaginario che portate nei vostri lavori musicali? Voglio dire, una certa tendenza all’introspezione non è considerata “patrimonio culturale italiano”, specie se visti da una prospettiva stereotipata o, banalmente, partendo dal vostro genere di riferimento e i suoi esponenti principali, eppure vi riesce così bene…

Son consapevole che notoriamente all’estero noi italiani non siamo percepiti come un popolo introspettivo ma come un popolo espansivo che gesticola tanto e che in alcuni casi può essere anche un po’ invadente. Chiaramente non per tutti è così. Sicuramente noi siamo degli italiani un po’ atipici e, in quanto musicisti, l’introspezione è una caratteristica che è insita in noi ed è necessaria alla creazione, soprattutto in un genere che fa del “ripiegamento su di sé” una sorta di baluardo… la nostra “italianità” si può più rilevare, in un senso strettamente musicale piuttosto che sociale, nell’influenza che hanno avuto su di noi alcune correnti stilistiche, tra cui la scena alternativa anni ’90 e alcuni cantautori.

Restando più o meno in tema, le parti parlate in italiano, presenti anche nel primo album, sono a mio avviso un tocco di classe. Da dove nasce l’esigenza di usare la vostra lingua madre, seppur in modo non preponderante, in un contesto così “esotico”?

Proprio dall’influenza di quella scena alternativa italiana dei ’90 di cui parlavo prima, un gruppo che adoro e mi ha influenzato in questo senso sono i Massimo Volume, lo stile recitato di Emidio Clementi è una costante fonte d’ispirazione nelle nostre parti in italiano. Invito tutti ad ascoltare questa geniale band italiana, album come Club Privé o Il Nuotatore sono qualcosa di grandioso.

L’uso della voce in clean è piuttosto personale, tornando di nuovo alle band di riferimento. È una scelta voluta?

Su questo ho personalmente lavorato tanto, raggiungere una maggiore personalità e sicurezza come cantante era uno dei miei obiettivi principali per questo album dato che non nasco come tale ma come chitarrista. A forza di esercizio ho scoperto sempre più cose sulla mia voce e sul come sfruttarla nella direzione che volevo migliorando molti aspetti di respirazione che hanno giovato sia sul pulito, rendendolo più stabile nell’emissione mantenendo comunque delicatezza, sia sulle harsh vocals, migliorandone la resistenza sul lungo periodo e la qualità generale. Sono contento che ti risulti così personale, vuol dire che ho centrato l’obiettivo.

Come è nata la collaborazione con code666?

Nel modo più semplice e banale del mondo, mandando una mail, nulla più. Per fortuna l’album è piaciuto parecchio ed Emi ci ha proposto subito di collaborare. Siamo decisamente contenti del loro lavoro e felicissimi che abbiano accettato di stampare per la prima volta un nostro album in vinile, formato che io personalmente non amo (rimarrò sempre attaccato al cd), ma che è tanto richiesto ormai in giro ed è andato a ruba al nostro release party.

Progetti futuri? Concerti? Promozione?

Stiamo cercando di organizzare date e tour ma non ti nascondo che è decisamente difficile, dopo il covid è tutto altamente congestionato e magari ti trovi a fissare ora una data che farai tra un anno… qualcosa siamo riusciti ad organizzarla ed a breve verrà resa ufficiale ma purtroppo meno cose di quanto immaginassi per il momento, speriamo vada meglio in futuro.