INTEGRITY, Den Of Iniquity
Se non avete mai sentito parlare degli Integrity (ma credo sia veramente impossibile non averli sentiti nominare almeno una volta), questa raccolta rappresenta un’ottima porta di accesso al loro universo misterioso, bizzarro, decadente e tenebroso. Questi 23 pezzi coprono il periodo che va dal 1988 al 1998, denominato “The Melnick Era” (i fratelli Melnick sono stati tra i fondatori e “motori propulsori” del gruppo di Cleveland per oltre dieci anni). Potrete ascoltare i demo di episodi storici come “March Of The Dead”, versioni live di pezzi leggendari come “Die Hard” e tanti altri. Scoprirete la progressione della voce di Dwid, che si evolve da rantolo alla timbrica che lo ha reso famoso, e vi accorgerete che gli Integrity partono incorporando gli elementi dei gruppi hardcore “classici” per poi mutare i loro riff in una mostruosità che segnerà l’inizio del metalcore.
Gli Integrity rappresentano il lato oscuro dell’hc e portano all’estremo un suono che alla fine non ha più nulla a che fare con il concetto di youth crew o di hardcore come inteso fino al loro arrivo. Il loro è un magma nero come la morte, che si espande lento ma inesorabile, che si nutre delle paure, delle angosce della razza umana. Razza umana di cui si caldeggia l’estinzione, ovviamente. Basta solo ascoltare l’urlo di Dwid per rendersi conto della disperazione che trasudano gli Integrity. D’altronde si ispirano ai giapponesi Lip Cream, ai Septic Death di Pushead (con tutto il suo corollario di grafiche), ai Negative Approach, ai racconti di Lovecraft, alla pittura di Francis Bacon, alle idee visionarie di Charles Manson. Non ho altro da aggiungere, se non: lasciatevi prendere per mano ed immergetevi in un gruppo che trascende qualunque cosa.