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INFECTION CODE, Dissenso

Metal e industrial sono generi che da sempre si incrociano e interagiscono, ma non necessariamente nel modo giusto, anzi, spesso con risultati quanto mai grossolani e discutibili. Per unire i due linguaggi non basta sovrapporre gli elementi portanti, ma si deve operare con cura nella ricerca degli equilibri e nella scelta dei suoni, altrimenti si rischia di passare per chi ha appena scoperto un nuovo giocattolo e lo usa senza cognizione di causa (la lista sarebbe lunga e purtroppo lastricata più di buone intenzioni che di risultati apprezzabili). Per nostra e loro fortuna la formula degli Infection Code si pone all’antitesi di quanto finora espresso e deriva da una frequentazione lunga anni e rodata/accresciuta album dopo album, passo dopo passo, all’interno di un percorso che abbiamo seguito da tempi non sospetti, ovverosia ben da prima che la loro voce entrasse a far parte della nostra squadra. Oggi la band si presenta con quello che si impone come il suo lavoro più completo e curato, un manifesto programmatico che si tramuta in fotografia spietata di un’epoca di ritorni (quelli di nostalgie politiche fuori tempo massimo, ma anche di chi vorrebbe vedere fuori dai soliti giochini di potere chi si oppone allo status quo). Nel fotografare questo ennesimo ciclo di corsi e ricorsi storici, gli Infection Code partono dall’estremismo metal più radicale e lo infiltrano con suoni dissezionati, rumori bianchi, manipolazioni di marca industrial in cui si avverte forte la ricerca di una disumanizzazione del linguaggio, a dar voce al freddo distacco di una società sempre meno vicina ai bisogni primari e ormai completamente asservita alle logiche del profitto. Su tutto si stende una voce che declama e narra in modo disincantato quanto vede. Dall’incipit: “Siamo non persone, Violentate dalla disperazione, Esperimenti sociali, Sgretolati in Ingranaggi di macchine infernali” al sample di una telefonata che cambierà per sempre le traiettorie e gli equilibri del nostro Paese. Tutto in Dissenso parla di noi e della nostra storia, senza il moralismo ipocrita o i tentativi di edulcorarla della trattazione ufficiale, e con uno sguardo cinico, distaccato, a tratti quasi glaciale, sebbene sia palese come il punto di vista adottato non sia privo di una sua presa di posizione/scelta di campo. La cura con cui gli Infection Code incastrano gli elementi sonori rende l’ascolto un viaggio ricco di fascino anche se osservato dal solo punto di vista musicale, proprio perché frutto di una maturazione che ha saputo andare oltre la safe zone e ha incrociato le strade con alcuni nomi di spicco nell’evoluzione sonora degli ultimi decenni: Eraldo Bernocchi e Billy Anderson. Piaccia o meno, qui siamo di fronte a una realtà che ha saputo creare un proprio stile e un proprio percorso immediatamente riconoscibili e ormai liberi da facili richiami, seppure con le radici saldamente piantate in una storia eretica che ha saputo mutare per sempre le traiettorie del metal fino a trasformarlo in altro da sé. Non un disco semplice, e forse proprio per questo meritevole della vostra attenzione.