INFECTION CODE

Infection Code

La Dittatura Del Rumore è un disco importante per gli Infection Code, ricco di novità eppure perfettamente in linea con l’approccio personale che da sempre ha contraddistinto la formazione. Perché, pur nel continuo mutare pelle, resta costante la voglia di mettersi in gioco e di sfuggire a facili etichette di genere. Di questo e altro abbiamo parlato con Gabriele, voce della band.

Prima di gettarci nelle spire de La Dittatura Del Rumore, facciamo un attimo il punto della situazione, cioè di come si sia arrivati a questo nuovo lavoro, a partire dall’entrata di un nuovo chitarrista e alla decisione di utilizzare nei testi solo l’italiano…

La Dittatura Del Rumore ha avuto una gestazione, comprese registrazione e stampa, di circa un anno. Abbiamo iniziato a pensare all’album alla fine del 2012, quando abbiamo terminato di concludere altre cose che richiedevano impegno ed energie. Per esempio la ricerca di un altro chitarrista, dopo la dipartita di chi, fino a quel punto, suonava con noi. Per fortuna questo abbandono è stato assorbito subito e ci ha spronato con maggior convinzione ad andare avanti. E per fortuna abbiamo trovato subito un degno sostituto. Riduttivo parlare di sostituzione, comunque. Paolo è stato un miracolo e la persona giusta che faceva al caso degli Infection Code. Giovane, volenteroso, tecnicamente preparato, conoscitore delle dinamiche che avvengono all’interno di una band, ha messo a disposizione la sua creatività, professionalità e tecnica alla causa della band. Per farti capire la sua tenacia e voglia di essere parte della band, in una settimana ha imparato le parti di chitarra di dieci pezzi per fare un concerto. Due prove in saletta e al debutto non ha palesato minima esitazione e dubbi. È una macchina. Finora ha dato molto alla band e ha contribuito in modo concreto alla stesura dell’album. Quindi, dopo aver risolto questa situazione, ed essere usciti con lo split in vinile insieme ai Deflore per la Subsound Records, abbiamo definitivamente pensato all’album. A piccoli passi siamo riusciti a creare questo mostro a sette teste. La scelta del cantato in italiano è dovuta al fatto che, visti i temi trattati, volevo che il messaggio arrivasse prima al pubblico italiano e poi in seconda battuta a chiunque non conosca l’italiano, proprio perché i temi trattano di cose italiane, un caso italiano. L’uso della nostra lingua è stato importante per questo aspetto ed anche a livello di metrica non ho avuto problemi. Ho cercato di slegarmi il più possibile dal contesto sonoro, cercando di sperimentare ed essere personale ed unico.

Quali credi siano le maggiori differenze, sia a livello di costruzione sia di songwriting, tra il nuovo album e quanto fatto finora? Possiamo considerare Fine come un lavoro di transizione per arrivare a quanto espresso ne La Dittatura Del Rumore?

Sarebbe banale affermare che La Dittatura Del Rumore è il nostro miglior album. Ma questa volta voglio essere banale e prevedibile. Questo è il miglior album che abbiamo scritto. A partire dalle canzoni, passando per la produzione, arrivando fino alla confezione del supporto e alla promozione. Abbiamo lavorato molto in fase di pre-produzione , cosa che prima per vari motivi non potevamo fare. Ci siamo messi in gioco, gettando via tante idee prima di arrivare a questi sette pezzi e tutti, finalmente, eravamo focalizzati su unico obbiettivo da raggiungere a livello tematico, artistico, concettuale e sonoro. Il fatto di lavorare molto sulla pre-produzione ci ha portato ad essere in studio molto più preparati che in passato. Il fatto di avere nella band un nuovo compagno, che ha portato altre idee, ed il fatto soprattutto che mettiamo passione ed amore in quello che facciamo, ha fatto sì che uscissero fuori sette pezzi di cui essere fieri ed orgogliosi. Forse anche l’esperienza accumulata nel corso degli anni e gli errori fatti in precedenza ci hanno aiutato ad essere meno impulsivi e più concentrati sulla musica. Frivolezze e cazzate che un tempo, a tratti, facevano capolino all’interno della band ed andavano a nuocere ciò che è veramente importante degli Infection Code, durante la composizione dell‘album, non esistono più. Non so dirti se Fine sia un lavoro di transizione. Penso comunque di no. Il lavoro di transizione per arrivare a La Dittatura Del Rumore potrebbero essere i tre pezzi per lo split Subsound Records. Non rinneghiamo il nostro passato, anzi lo celebriamo, perché altrimenti non potremmo essere qui, ma comunque può considerarsi come un libro completamente chiuso. Riposto in uno scaffale ed ogni tanto ricordato.

L’album è un concept o, meglio, una riflessione sugli anni di piombo. Come è nata la voglia di confrontarsi con questo periodo controverso della nostra storia e che tipo di approccio avete utilizzato?

È stato un processo abbastanza lungo. Ho impiegato tantissimo tempo per arrivare a decidere che un giorno avrei proposto ai miei compagni un argomento simile per i testi o il concept lirico. Sono appassionato di storia. In particolare quel lasso di tempo che racchiude tutto il Novecento. Mi appassionano i grandi temi politici, le due Guerre Mondiali, ma quello che ha attirato maggiormente sempre la mia curiosità è il periodo immediatamente successivo al secondo dopoguerra, contestualizzato in Italia. Il boom economico, l’avvento della Repubblica. Le lotte operaie e studentesche, le prime rivolte ed attentati, i misteri e le ombre che avvolgevano la quotidianità di ogni cittadino, che pensava di vivere beatamente in una democrazia capitalistica, che poi si è dimostrata una dittatura democratica basata sul capitalismo più vorace e spietato e lo sfruttamento dell’uomo. Questo ha creato dei malumori in molte avanguardie, repressi nel sangue, grazie a un metodico e sistematico quadro di terrorismo legalizzato e perpetuato dallo stato italiano, facendo credere che numerose associazioni fossero pure bande terroristiche atte a colpire la popolazione con stragi, agguati ed uccisioni. La strategia della tensione è stata appunto un piano ben studiato dai poteri forti e dai servizi segreti con l’aiuto dello zio americano per screditare determinati movimenti o per fomentare con astuzie politiche impensabili e quasi fantascientifiche alcune correnti politiche, che magari erano proprio ai margini della legalità. Ho impiegato molto, mi sono documentato tantissimo per mio diletto, e continuerò a farlo. Poi mi sono detto che era arrivato il momento (considerando anche il periodo storico attuale in cui stiamo vivendo, dove riscontro delle analogie di malagestione da parte della politica, non nella voglia di cambiare lo status quo, però) di usare questi miei approfondimenti e riflessioni per scrivere dei testi per il nuovo album. Ne abbiamo parlato e tutto è successo in modo molto naturale, parallelamente al fatto di voler usare anche l’italiano. Non voglio prendere una posizione, né lanciare un messaggio politico, ho le mie idee in merito, e nell’album non abbiamo messo in piazza i nostri credi politici ma abbiamo cercato di descrivere fatti ed avvenimenti romanzando a nostro modo questo controverso ed ancora oscuro periodo storico.

Ad un certo punto toccate anche la vicenda, ben anteriore, di Sacco e Vanzetti, ma la ricollegate al periodo trattato citando il film del 1971. Lo vedete più come un tributo ai protagonisti della vicenda o al cinema di Gian Maria Volontè?

Un altro argomento che mi ha completamente assorbito ed appassionato nel corso degli anni è stata la vicenda di Sacco e Vanzetti. Due italiani, anarchici, ingiustamente processati e poi condannati a morte per un delitto mai commesso negli Stati Uniti alla fine degli anni Venti. Solo perché anarchici, italiani e sostanzialmente perché, nella terra della tanto decantata libertà a stelle e strisce erano immigrati. E come milioni di immigrati cercavano un po’ di dignità con un lavoro, magari sottopagato e pericoloso. È una vicenda che è sempre attuale. Sacco e Vanzetti sono un simbolo di coerenza politica e dignità. Mi sono innamorato della loro storia come mi sono innamorato dello splendido film di Giuliano Montaldo. Abbiamo voluto rendere omaggio a questi due personaggi ed anche alla pellicola e perché no alla magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè, artista secondo noi un po’ sottovalutato. E poi questa storia ben si collegava a tutto il ‘concept’ dell’album.

Per l’artwork vi siete affidati a Marco Castagnetto, il risultato è un’immagine ricca di simbolismo, a partire dai megafoni che sostituiscono la faccia dell’uomo che impugna la pistola (un’allegoria dei media?). Vi va di parlarci di come siete entrati in contatto e di come è nato tutto?

L’artwork è molto bello e non possiamo che ringraziare Marco per il lavoro che ha svolto. Non immaginavamo che riuscisse così bene a rappresentare tutto ciò che avevamo in testa, non perché lui non sia bravo, ma perché i contenuti musicali e testuali sono di difficile interpretazione. Marco, invece, ci ha stupito, segno di una grande sensibilità artistica e di una padronanza di tecnica ed invettiva che solo uno come lui può avere. La sua arte ci ha sempre colpito sia quando si è occupato di musica, sia quando si è mosso come pittore-disegnatore. Lo abbiamo contattato chiedendogli se era disposto a fare qualcosa per la copertina dell’album. Gli abbiamo inviato qualche testo ed una rozza versione del disco. Dopo poco tempo è arrivato tutto l’atrwork e non potevamo che essere felici e contenti di quello che aveva creato. Ha fatto un grande lavoro, personale, ricco di simboli, anche nascosti, un giusto compendio visivo da associare alla sensazione sonora delle canzoni. Una copertina che racchiude e rappresenta alla perfezione “la dittatura del rumore”.

Castagnetto è conosciuto tra l’altro come membro dei T/M/K (Thee Maldoror Kollective). Credete che sia possibile riscontrare un’affinità elettiva tra la vostra progressione sonora e quanto fatto da questa formazione? Con quali altre realtà vi sentite, se accade, legati da affinità o amicizia?

Non siamo legati a qualche scena in particolare o a qualche band. Ma seguiamo assiduamente ciò che accade nel sottobosco, cercando sempre novità che possano stimolarci sia come musicisti, sia come appassionati. Ci sono e ci sono state realtà sempre molto interessanti ed all’avanguardia nel proporre qualcosa di originale, che andasse oltre i soliti canoni, ed alle mode. Ci pare di vedere attualmente un sistematico allinearsi a stilemi musicali sempre uguali, accadeva dieci/quindici anni fa ed accade anche oggi. Quante band ci sono adesso in Italia che fanno doom-sludge-stoner? Centinaia. E quasi tutte hanno lo stesso suono, lo stesso piglio compositivo, la stessa attitudine. Gli stessi riff. Stesso discorso si può fare per il genere black-crust-grind. Esplosi i The Secret (che tra l’altro sono una copia un po’ più nera dei Converge e Tragedy), ora ci sono centinaia di band che scimmiottano le gesta dei triestini. Tutto questo è un po’ triste e poco stimolante. I Thee Maldoror Kollective sono una delle poche realtà che non seguono precisi canoni estetici. Sono liberi. Sì, ci sentiamo legati, per affinità elettive e sperimentali al combo di Marco, ma anche agli Shabda, altra entità di Marco e Riccardo Fassone, con cui condividiamo anche la stessa casa discografica, che è Argonauta Records. Musicalmente possiamo essere un po’ distanti, ma l’approccio è quello che poi conta. Sperimentare e ricercare sempre nuove forme d’espressione sono le nostre costanti ed è quello che accade anche per band come i Thee Maldoror Kollective e Shabda per esempio. L’attitudine nel non fermarsi ad un unico suono o paradigma sonoro e sentirsi liberi di esprimersi senza troppe costrizioni. In Argonauta Records ci sono per esempio numerose band che si avvicinano a questi canoni estetici. Ed anche per questo che quest’etichetta e noi ci siamo scelti. Pur seguendo molto la scena, non vediamo tantissime entità che cercano di portare avanti un discorso musicale scevro da mode, ci sono band, però, che possono essere considerate originali ed uniche. Basta scavare, documentarsi e non fermarsi alle mode del momento. Ormai sono quindici anni che rompiamo il cazzo con la nostra musica e in quindici anni abbiamo visto passare molti cadaveri dalla sponda del nostro piccolo torrente. Ma questo continua a scorrere sempre. Mentre le mode si trasformano in cadaveri. Essere originali comunque è impresa titanica attualmente e neppure noi lo siamo. Ne siamo consci, ma siamo anche consapevoli che non amiamo rimanere fermi, preferiamo uscire allo scoperto dalla palude della mediocrità musicale e fare di testa nostra. Che piaccia o meno, non facciamo musica per essere famosi o per avere più mi piace su Facebook, od avere più amici virtuali. Facciamo musica di confine per isolarci da questo pattume artistico. Comunque, tornando nei binari della tua domanda, stimiamo ed ammiriamo quelle band che osano gente come i Deflore, gli Shabda, Cubre, Dyskinesia, OvO, Last Minute To Jaffna, Selva, Poseidon, Terra Tenebrosa e tante altre.

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Nel vostro suono convivono metal, industrial, pulsioni sperimentali e anche derive postcore, eppure avete sempre mantenuto una forte impronta personale e difficilmente inquadrabile. Se proprio doveste decidere con la classica pistola alla tempia, come etichettereste la vostra musica?

Per noi questo è un grande complimento, non essere etichettabili. Inquadrabili. Non abbiamo mai voluto decidere a tavolino ciò che saremmo stati, o come deve suonare un album. Tutto è uscito in modo molto spontaneo ed istintivo. L’unica prerogativa, fin dall’inizio della nostra carriera artistica, è stata quella di sperimentare con più correnti possibili che fossero vicine ai nostri gusti. Amiamo il metal e tutte le sue sfaccettature più estreme (death, grind, black, thrash) da sempre, ma seguiamo con passione e dedizione anche altre correnti musicali: elettronica, industrial, hardcore, prog, punk, dark wave, grunge, blues. Siamo appassionati di musiche e rumori. Questo ci ha portato a sviluppare una visione d’insieme della materia abbastanza originale e poco battuta, forse. Siamo stimolati da tutte quelle band o artisti che hanno creato qualcosa di originale e sperimentale, contestualizzato nel momento storico in cui è stato creato.Il nostro obiettivo, dunque, è essere contestualizzati al momento, all’attimo in cui componiamo un brano. E questo dipende esclusivamente dal nostro stato mentale, dalla nostra anima e compartimento emotivo se oscilla tra l’oscurità ed il disagio. Quest’attitudine ad essere liberi e non imprigionati dentro paletti artistici la potrei chiamare punk. Siamo una band punk in ambiente progressivo, parafrasando un’affermazione del nostro batterista.

Quanto dei vostri ascolti passati e presenti finisce strutturato all’interno degli Infection Code? Che tipo di ascoltatori siete una volta posati gli strumenti?

Come ho accennato prima, seguiamo molte correnti musicali e cerchiamo di stare al passo con i tempi, anche se non è facile e a volte è davvero sfiancante. Troppe uscite, la maggior parte di poco interesse, e la maggior parte con pochissimo spirito d’inventiva e di sperimentazione. Ci sono cose interessanti che sanno dare ancora qualche emozione soprattutto in ambito legato all’industrial o al noisecore. Non possiamo più dirci appassionati di metal inteso come semplice corrente musicale. Quello che c’è di unico e motivante per andare a caccia di musica è che la rete mette a disposizione tantissima roba, non sempre di qualità. Un buon mezzo per farsi un’idea e poi poter approfondire. Nell’underground, al di là delle mode che ho citato prima, sempre nocive, si possono scoprire schegge impazzite di rumore assordante, ma per questo affascinante. Siamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, muovendoci con i nostri tempi nel sottobosco del rumore. Di sicuro quello che ascoltiamo inconsciamente va un po’ a finire nella musica degli Infection Code, ma cerchiamo di filtrare il più possibile le nostre influenze artistiche con cui siamo cresciuti usando la nostra emotività ed istinto.

Come vi state muovendo per promuovere l’album dal vivo? Che tipo di approccio utilizzerete per riproporre in sede live la ricchezza e complessità del lavoro in studio? 

Premetto che la promozione dell’album sta andando molto bene grazie anche al lavoro superbo di Argonauta Records, che con passione e professionalità sta facendo il massimo affinché il nostro album abbia una sempre maggiore esposizione. Per quanto concerne l’aspetto live stiamo cercando un po’ di date in Italia e all’estero. Anche se con i tempi che corrono e i pochi soldi che i locali sono disposti a investire per band che propongono generi estremi, non è facile. Pochi spazi dove esprimersi, tantissime band e alcune che suonano e girano non per meritocrazia ma per un certo cancro chiamato ‘paytoplay’ oppure ‘playforfree’. Queste due piaghe stanno uccidendo la musica underground e stanno ammazzando tantissime band valide che non trovano spazio per potersi esprimere. È una situazione alquanto triste e desolante. Abbiamo già suonato parecchie canzoni de La Dittatura Del Rumore e non abbiamo trovato problemi nel riproporle dal vivo. Grazie soprattutto alla perizia tecnica, professionalità e dedizione dei miei compagni nella band abili nel comporre canzoni eseguibili anche in sede live.

Grazie mille di cuore, a voi la conclusione…

Grazie a te Michele. Ci hai sempre supportati nel corso degli anni e non possiamo che essere noi a ringraziarti con il cuore in mano. Grazie anche per il tuo continuo ed appassionante contributo nel sostenere la musica pe(n)sante.