INCANTATION, Profane Nexus
La Relapse Records oggi è molto eclettica: il suo roster copre diverse frange di musica estrema, con una vena spesso sperimentale. Agli inizi, però, era tra quelle etichette esordienti che, negli anni Novanta, avrebbero fatto fortuna grazie all’esplosione del death metal, diventando le più grandi e influenti in ambito metal (vedi Roadrunner, Nuclear Blast e Century Media). Nel 2017 torna sotto la sua ala di uno di quei nomi che l’aveva resa grande: gli Incantation. È per la casa discografica di Filadelfia, infatti, che la band aveva pubblicato i suoi lavori migliori prima di lasciarla a inizio millennio (prima per la Candlelight e poi per la Listenable).
Profane Nexus è l’undicesimo capitolo di una saga di qualità indiscutibile e, come da copione, non delude le aspettative. Anticipato da ben tre singoli (“Rites Of The Locust”, “Messiah Nostrum” e “Lus Sepolcri”), ha tutti gli ingredienti del classico sound della band: death metal oscuro e profondo, con tematiche blasfeme e rallentamenti. La componente doom è molto presente in brani come “Incorporeal Despair” (con quelle chitarre in clean che ricordano il funeral doom degli Esoteric), “Omens To The Altar Of Onyx” e la conclusiva “Ancients Arise”. Buono anche l’intermezzo “Stormgate Convulsions From The Thunderous Shores Of The Infernal Realms Beyond The Grace of God”. La produzione è davvero ottima e rispecchia al meglio lo stato di salute degli americani: non è un caso che dietro il mixer ci sia un grande come quello di Dan Swanö. I riff sono molto interessanti e c’è anche un buon uso del wah wah in pezzi come la già citata “Messiah Nostrum”, “Xipe Totec” e “Visceral Hexahedron”. Il sound generale non è cambiato di molto e chi conosce gli Incantation sa come in più di 25 anni di carriera siano stati più attenti a proporre il death metal al meglio delle loro possibilità più che a cambiare direzione stilistica. I risultati in questo senso si vedono, perché Profane Nexus risulta godibilissimo. In un clima generale in cui molti colossi di questo genere non fanno altro che riproporre album molto discutibili, loro risultano una vera garanzia per tutti gli amanti di questo stile.
Per il momento in questo 2017 grandi dischi ancora non se ne sono visti (fatta eccezione per l’ottimo ritorno dei The Obsessed) e questa sembra una delle poche uscite da mettere nella conclusiva top 10 di fine anno (che noi di The New Noise non facciamo, al contrario di molti dei nostri lettori sui loro profili social, capaci di tirar fuori sempre nomi di grande interesse).