IN VAIN, Currents
I norvegesi In Vain approdano con Currents al quarto album della loro discografia, con l’obiettivo di confermare la buona impressione suscitata dai precedenti lavori, considerati ormai dei capisaldi della scena progressive death/black metal. Cinque anni sono trascorsi dalla pubblicazione di Ænigma e alla formazione base, composta da Andreas Frigstad alla voce, Johnar Håland e Kjetil Domaas Petersen alle chitarre,Sindre Nedland alle tastiere e Alexander Lebowski Bøe al basso (la presenza del batterista Tobias Øymo Solbakk è infatti contemplata solo in sede live), si sono aggiunti per l’occasione numerosi ospiti: Matthew Heafy (Trivium), Simen Høgdal Pedersen e Kristian Wikstøl (From Strength To Strength) alle parti vocali, il tentacolare Baard Kolstad (Leprous) alla batteria, Ingeborg Skomedal Torvanger al violino, Magnhild Skomedal Torvanger al violoncello e Line Falkenberg al sassofono. La suggestiva opera di copertina siglata da Costin Chioreanu rappresenta, insieme alla produzione affidata a Jens Bogren (Devin Townsend, Rotting Christ, Dimmu Borgir, Opeth) una garanzia di qualità assoluta. Le premesse per un’ottima riuscita dell’album ci sono pertanto tutte.
“Seekers Of The Truth” ci accoglie con elementi che richiamano death metal, metalcore e prog, amalgamati da un riffing compatto e da un solismo ispirato, mentre “Soul Adventurer” prende in contropiede l’ascoltatore con un cambiamento di direzione musicale improntato al progressive più melodico e al ricorso a vocalità pulite.
Gli In Vain dimostrano un’ispirazione diversificata con la successiva e camaleontica “Blood We Shed”, canzone che – improntata al death metal tout court – si trasforma con l’apporto dell’organo e il ricorso ad un registro vocale melodico. L’alternanza continua di sonorità potenti e di altre più sottili ed eteree conduce a “En Forgangen Tid (Times Of Yore Pt. II)”, brano totalmente devoto al doom, con armonie vocali e frangenti melodici piacevoli e un ricorso minoritario al cantato gutturale. Se l’atmosferica “Origin” rappresenta la summa della proposta musicale degli scandinavi, con una grande linea di basso posta in apertura e un eccezionale lavoro di chitarra sulla scia di Insomnium e Ihsahn, il punto più elevato viene tuttavia raggiunto dall’imponente “As The Black Horde Storms”, vero agglomerato di death e black: qui gli inserti solistici di chitarra e il cantato pulito di Sindre proiettano l’insieme verso lidi sempre più sperimentali. La conclusione è affidata alla monumentale “Standing On The Ground Of Mammoths”, oscura ed evocativa, con un delicato passaggio acustico sottolineato dagli interventi di sassofono e violino. Insomma, l’eclettismo contraddistingue questa nuova fatica degli In Vain, caratterizzata da un mèlange di stili differenti che si intrecciano, si completano a vicenda e coesistono senza difficoltà.