Imago 3, 14/6/2015 (Attilio Novellino, Caterina Barbieri + Giovanni Brunetto, Polar Inertia)
Bologna, Museo Civico Medievale.
Nota della redazione: approfittiamo di questo report per dare notizia che all’ultima serata di Imago non ci sarà Craig Leon. Al suo posto Lorenzo Senni.
Imago propone un’altra domenica all’insegna della ricerca musicale, inserita in spazi da esso rivalutati. Anche oggi mi trovo all’interno del Museo Civico Medievale di Bologna, solo che questa volta è il sole, un po’ stanco, ad accogliere l’evento e a far sì che la luce valorizzi la bellissima struttura.
Pochi giorni fa è stato annunciato un act a sorpresa, presentato da Rivista Scioc. Si tratta di Attilio Novellino, un piacevole regalo, visto che sarà forse lui a creare l’atmosfera più riuscita della serata. Anche Novellino, come la Lewis – della quale abbiamo parlato la settimana scorsa – parte dai field recordings per esplorare quei meandri noise drone, mostrando però particolare attenzione a un sound un po’ più prezioso. Il via è verso le otto, un orario in cui è difficile attirare l’attenzione. Il pubblico è entrato da poco ed è troppo occupato a mangiare o a prendere birra per stare sotto al palco. Tutto ciò fa si che il concerto finisca per trovarsi a metà strada tra accoglienza sonora e un vero live, ma chi ha abbastanza interesse per ascoltare riesce lo stesso a coglierne la bellezza. Come scrivevo, i protagonisti sono field recordings filtrati al punto da non assumere identità: un ambient movimentato e a tratti caotico, mai harsh. Quel drone elettronico che irradia vibrazioni potenti e plasma l’aria a suo piacimento. Una caratteristica innegabile, inoltre, è la pacata citazione di suoni frizzanti, che potrebbero benissimo far parte dell’ultimo disco di Blank Mass. Novellino a tratti fa friggere le casse in modo emozionale, quasi nostalgico, ottima colonna sonora per un crepuscolo imminente, che si può contemplare alzando lo sguardo.
All’ingresso viene distribuito un piccolo volume: 80 MESH “La forma del suono”. Si tratta dell’installazione visivo-acustica curata dall’associazione Marte: tramite delle lastre di metallo ricoperte di sabbia, collegate a delle casse che le fanno vibrare, si vuole rappresentare la forma che prende il suono in base alla sua “costituzione”. Il tutto sa un po’ di esperimento di fisica delle medie o di ultra-votati video di YouTube, ma questa realizzazione dal vivo ha comunque motivi d’interesse. A terra vengono appoggiate tre casse/lastre principali, poi ce n’è un’altra per i bassi e infine un piatto. Sono quindi cinque le fonti di una musica (composta da Mirto Baliani) studiata apposta per far sì che la sabbia acquisti forme geometriche, al limite dello psichedelico, e cambi durante la performance. In questo modo, oltre ad ascoltare, il pubblico ha un riscontro visivo del processo di continuità di un brano. Una telecamera posta su una delle lastre rende proiettabili i suoi disegni, che variano in continuazione. Il lungo pezzo è quasi ballabile, piacevole, magari molto schematico (in quanto la sua funzione è appunto quella di far vedere la sua “forma”): se in effetti non stupisce per originalità, è comunque ipnotico notarne il riscontro da vivo.
È questo il momento in cui il cortile del Museo Civico si affolla, ma l’ordine viene presto ristabilito da una ventata di fumo creata da Caterina Barbieri, giovane musicista che, in coppia con Giovanni Brunetto ai video, costruisce un ambiente che oscilla fra analogico e digitale, battezzato “UHV”. La complessa costituzione del set è incentrata su una fruizione audiovisiva che dona a entrambe le componenti ugual importanza. Infatti la Barbieri non è sul palco, ma dietro a una consolle della quale – in mezzo alla foga – riesco a intravedere un synth modulare collegato a un portatile. UHV sta per vuoto estremamente alto, titolo più volte proiettato su uno dei due piccoli schermi posti alla base del palco e sui quali si susseguono diapositive a tema video-musicale tratte da un arco di tempo che va dai Sessanta e arriva agli Ottanta: si spazia da studi sulle onde al simbolo dei Crass. La proiezione principale, invece, parte da una geometria estrema, astratta e psichedelica, che si riversa su se stessa alla ricerca di un continuo riutilizzo delle forme, attaccate in modo ossessivo a un’estetica vintage. E lo stesso vale per la parte sonora, che pare quasi essere più concentrata sul richiamo di un sound di trent’anni fa che sulla sua buona resa dal vivo, un feticismo che affascina e che trova un overdose di materiale in questo duetto. Troppi i nomi che si potrebbero citare per fare dei confronti, a me a tratti veniva in mente un Conrad Schnitzler filtrato attraverso l’ultimo James Ferraro (quello non danzereccio). In ogni caso la ricerca di Caterina Barbieri è chiara e in questo live è stata sviluppata in modo frenetico e massiccio.
A chiudere la seconda chiamata di Imago è l’unico ospite estero, Polar Inertia, che a mio avviso è anche il progetto che meno ha saputo esaltare le sue caratteristiche. Se infatti lo si confronta ai suoi ep su Dement3d, il live subisce l’effetto di un intro infinito che non sembra mai sfociare in un pezzo vero e proprio. Dopo un po’ il clima diventa pesante, e pochi sono i coraggiosi che riescono a muoversi durante il set. In ogni caso il timbro è il suo e per i fan è facile riconoscerlo, forse l’acustica non ha aiutato, anche se a mio avviso non ha penalizzato troppo gli artisti precedenti. L’eccessiva vaporizzazione dei bassi è straniante, ma ben riempie l’architettura che ha accolto queste due puntate di un festival che terminerà il 28 giugno al Cimitero Monumentale della Certosa.
Le foto sono di Luca Ghedini, che ringraziamo.