Il respiro profondo del Blutwurst Ensemble

Blutwurst Ensemble con Emmanuel Holterbach a Prato
Blutwurst Ensemble con Emmanuel Holterbach a Prato

Quando non so, chiedo. Dopo lo spazio dedicato a Tarozzi, ecco Blutwurst Ensemble, musicisti in grado di colpirmi e in qualche modo di parlarmi, ma molto al di fuori del mio mondo. Toscani, hanno il disco Anabasi fuori per Kohlhaas, realizzato con questo personale: Cristina Abati, viola; Marco Baldini, tromba; Maurizio Costantini, contrabbasso; Daniela Fantechi, fisarmonica, piano, oscillatori; Michele Lanzini, violoncello; Edoardo Ricci, clarinetto basso; Luisa Santacesaria, harmonium, campane tibetane, organo a canne. Hanno iniziato negli anni Dieci pensando di muoversi in ambito improvvisativo, ma i loro tre dischi sono sostanzialmente drone, vivo (respira, letteralmente) e particolarissimo nella timbrica, data dalla combinazione di strumenti acustici e non. C’è poi un quarto lavoro, realizzato col compositore francese Emmanuel Holterbach, davvero molto suggestivo, ma in parte diverso, più melodico. Con loro ho parlato di un’istituzione (Tempo Reale di Firenze), quindi di underground e Accademia, bordoni, Oriente.

Alla violinista Silvia Tarozzi, che quest’anno ha pubblicato un disco meraviglioso, ho chiesto di raccontarmi in che modo è legata ad AngelicA. A voi chiedo di descrivere la vostra relazione con Tempo Reale. Non tutti quelli che ci leggono sono tenuti a saperla, penso sia utile per dar loro un contesto.

Luisa Santacesaria: Tempo Reale ha avuto un ruolo molto importante nel consolidare il nostro progetto. Nel 2015 il centro ha promosso un bando di residenze artistiche, in collaborazione con l’artista Caterina Poggesi, e noi che viviamo quasi tutti a Firenze abbiamo fatto domanda: oltre ad averci selezionato per una residenza di tre mesi, ci hanno invitato a suonare al Tempo Reale Festival di settembre e a pubblicare il nostro lavoro Tenebrae – realizzato durante la residenza – per la loro etichetta Tempo Reale Collection. Questo per noi ha significato la possibilità di prenderci del tempo per concentrarci sul nostro progetto artistico, rafforzare la nostra identità e interfacciarci con professionisti (come Damiano Meacci, che ha curato la registrazione, editing e mastering dei nostri primi due dischi, e che continua a essere un punto di riferimento per le nostre uscite discografiche). Siamo tornati nel maggio 2018 a fare una seconda residenza a Tempo Reale, stavolta insieme al compositore elettroacustico Emmanuel Holterbach: in quel periodo abbiamo iniziato a elaborare insieme quello che sarebbe poi diventato Ricercar Nell’Ombra (Another Timbre, 2020).

Alcuni di noi hanno collaborato con Tempo Reale più strettamente per altri progetti. Per esempio, Daniela ha curato per anni il progetto Drinnn – Come suona la mia scuola?, dedicato all’avvicinamento al suono per le scuole primarie. Con Marco e Daniela abbiamo curato la rassegna di musica sperimentale TRK. Sound Club dalla prima edizione nel 2016 fino a tutto il 2018. Io ho lavorato con Tempo Reale per la sonorizzazione del Museo Novecento di Firenze e continuo a collaborare curando TRK. Sound Club e il sito musicaelettronica.it.

Siete collegati a un centro che è sostenuto dalle Istituzioni e contestualmente lavorate con realtà sotterranee vicine alla filosofia di una webzine come The New Noise: Anabasi, il vostro quarto album, esce per Kohlhaas; la copertina è realizzata da Matteo Castro, quindi Second Sleep, quindi giro “rumoroso” di Vittorio Veneto. Non dimentichiamo il progetto “Aundici” di Tempo Reale. C’è contraddizione? C’è un terreno comune? Mi spiegate?

Luisa Santacesaria: Come scrivevo prima, tre di noi hanno collaborato o collaborano attualmente con Tempo Reale, ma Blutwurst è un progetto autonomo. Per quanto riguarda la contaminazione tra bacini diversi, direi che in generale c’è un terreno comune fra ricerca sonora accademica e sperimentale che sta venendo fuori soprattutto negli ultimi anni (con la rassegna TRK. Sound Club abbiamo fin da subito voluto dar voce a questo fenomeno). Blutwurst è un esempio di superamento di queste due dimensioni. Noi sette musicisti abbiamo background molto diversi: alcuni sono diplomati in conservatorio, altri hanno seguito un percorso più libero e vicino all’improvvisazione radicale. La nostra estetica è il risultato dell’incontro fra queste diverse prospettive musicali.

I miei ascolti mi inducono a collegare il drone alla musica cosiddetta elettronica. Al massimo, penso alle chitarre (elettriche) di Earth e Sunn O))). Voi invece siete misti: viola, nastri, tromba, organi, contrabbasso, no input mixer, clarinetto, oscillatori, fisarmonica… Perché vi siete focalizzati su suoni “continui”?

Marco Baldini: È stato un processo naturale. Siamo nati nel 2011 con l’idea di essere un ensemble dedito all’improvvisazione radicale di stampo cameristico. Nel 2013 abbiamo iniziato a lavorare sui suoni tenuti e sulle lunghe durate, complice l’esigenza di superare l’approccio improvvisativo che sentivamo non più adatto alle nostre esigenze. Nella composizione basata su questi elementi abbiamo trovato il modo di sviluppare un discorso musicale originale che ci ha permesso di esaltare le caratteristiche timbriche del nostro gruppo.

Daniela Fantechi: Aggiungo che abbandonando l’improvvisazione, alla ricerca di una nostra identità compositiva, abbiamo indugiato sullo studio di lavori di autori come La Monte Young, Morton Feldman, Giacinto Scelsi. Questo momento di ricerca e di approfondimento ha sicuramente avuto un peso sullo sviluppo della nostra estetica.

Quando penso a voi, per associazione di idee arrivo ai Phurpa e a come usano le voci, rileggendo determinate tradizioni. È un progetto che mi ha definitivamente conquistato quando l’ho visto e sentito dal vivo. Fareste un disco con loro?

Marco Baldini: Mi piacciono molto i Phurpa, anche perché amo moltissimo la musica rituale del buddismo tibetano. I Phurpa hanno fatto qualcosa di incredibile, dedicandosi in maniera competente ad un lavoro non solo musicale ma anche etnologico ed etnografico nel recupero della tradizione musicale del Bön, la religione sciamanica originale del Tibet che unendosi sincreticamente al Buddismo tantrico in arrivo dal Nord dell’India ha originato il Buddismo tibetano. Il loro lavoro è essenzialmente una riproposizione accurata delle tecniche e della strumentazione della tradizione che seguono e della quale si prendono cura. Hanno ampliato il colore della musica tradizionale sfruttando l’amplificazione e utilizzando un’estetica oscura, trasportandola in una dimensione diversa (confermo che dal vivo sono un’esperienza incredibile). Quindi assolutamente sì: sarebbe bello e avvincente poter lavorare con loro!

A proposito, ti svelo che la musica tradizionale tibetana ha influenzato molto la composizione di “Anabasi pt. 2”, pezzo nel quale io e Edoardo Ricci (rispettivamente con tromba e clarinetto basso) abbiamo suonato rifacendoci alla modalità della produzione sonora delle dung chen, le trombe telescopiche utilizzate nella tradizione musicale tibetana.

Ipotizzo che molti miei lettori – me incluso – non conoscano il compositore (e pittore) fiorentino Giuseppe Chiari: perché è importante per voi e perché gli avete dedicato “Parva Lumina”?

Daniela Fantechi: Ci siamo avvicinati al lavoro musicale di Giuseppe Chiari tramite un percorso di ricerca fatto assieme alla pianista Chiara Saccone, che da alcuni anni si sta dedicando all’interpretazione e all’esecuzione di brani dell’artista Fluxus fiorentino. Io, Luisa e Marco, insieme a Chiara Saccone e a Francesco Pellegrino, abbiamo realizzato una prima versione installativa della partitura testuale “La Luce” (1964) di Giuseppe Chiari, per uno degli appuntamenti di TRK. Sound Club, ospitato dalla Galleria Frittelli di Firenze, che contestualmente ospitava una mostra su Giuseppe Chiari. Dopodiché abbiamo deciso di mantenere il materiale musicale che avevamo composto per questo lavoro (che nella sua prima versione era totalmente elettronico) rimodellandolo in quello che è diventato appunto “Parva Lumina”, per organo a canne ed elettronica.

Perché rappresentate la vostra musica con immagini che ritraggono popoli dell’Estremo Oriente in abiti tradizionali? Io ho le mie idee, ma…

Marco Baldini: Non ci abbiamo pensato mai molto in verità, è una cosa che è venuta spontaneamente nel corso del tempo. Come ricordava Daniela, quando abbiamo iniziato a comporre i nostri pezzi, intorno al 2013, ci sono stati alcuni compositori che ci hanno influenzato molto. In questa prima fase un ruolo particolarmente importante per noi lo ha ricoperto Giacinto Scelsi. La musica di Scelsi è legata esteticamente e formalmente all’esperienza di alcune musiche classiche e sacre dell’estremo Oriente. Credo che più o meno inconsciamente abbiamo iniziato a sviluppare l’estetica che tu hai notato a partire dal forte impatto che l’universo scelsiano ha avuto su di noi in quel periodo. Un altro nostro grande topos a livello estetico, come forse avrai potuto notare, è la montagna.

Perché un disco con Emmanuel Holterbach, il quale, per inciso, ha scritto anche una bellissima presentazione di Anabasi? Sempre per inciso, è un altro individuo che collabora con realtà istituzionali (INA/GRM) e al contempo mette in circolo la musica di Éliane Radigue attraverso etichette indie come la Important.

Marco Baldini: Abbiamo conosciuto Emmanuel perché lo abbiamo invitato a suonare nel 2017 nella seconda edizione di TRK. Sound Club. Ritengo che Holterbach sia uno dei compositori elettroacustici più bravi e sottovalutati della sua generazione. La sua produzione musicale è dotata di una coerenza, di un lirismo e di una bellezza rari. Inoltre, Holterbach ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di riscoperta del primo periodo compositivo di Éliane Radigue, riportando alla luce dagli archivi di Radigue i lavori per feedback, oggi considerati una parte fondamentale dell’opera della compositrice. Lavorare con lui su Ricercar Nell’Ombra è stata un’esperienza incredibile che speriamo di ripetere il più presto possibile, anche perché siamo diventati molto amici!

Segnalo qui il suo Bandcamp perché davvero ritengo che la sua musica meriterebbe di avere un riconoscimento più vasto.

Questa domanda nasce da un post di un mio coetaneo sulla trap e insieme dal fatto che non siete dei settantenni fuori dal mondo. Taglio cortissimo e vado dritto al punto: uno di sedici anni, oggi, uno magari non troppo studioso (magari perché non ha possibilità), è raggiungibile da voi e da quelli simili a voi? O al massimo arrivate all’universitario?

Marco Baldini: Penso da sempre che l’ascolto sia una pratica democratica. Io vengo da una famiglia modesta (sebbene di larghe vedute e al supporto della quale devo tutto) di un paese della campagna fiorentina. Il percorso musicale che ho fatto io (partendo dalla banda di paese) può essere davvero compiuto da tutt*, sia dal punto di vista di musicista che di ascoltatore. Quindi ti rispondo di sì! Credo che non servano diplomi o lauree per fare esperienza e apprezzare la musica di ricerca (così come per altri tipi di musica): ritengo che servano solo curiosità e un po’ di pazienza.

Collegata alla domanda precedente: quali dischi del 2020 state ascoltando?

Marco Baldini: Per quanto riguarda le nuove uscite mi è appena arrivato a casa il disco di Marc Sabat dedicato a Gioseffo Zarlino pubblicato dalla Sacred Realism di Catherine Lamb e Bryan Eubanks: un disco fantastico e suonato magistralmente dalla Harmonic Space Orchestra, gruppo con tanti musicisti incredibili (oltre Sabat e Lamb, anche Silvia Tarozzi, Deborah Walker, Yannick Guedon, Rebecca Lane…). Poi un bellissimo disco di Philip Corner uscito per Unseen Worlds (la stessa etichetta del disco di Silvia Tarozzi di cui parli a inizio intervista) Chord/Gong!, brani di Philip mai pubblicati prima ed eseguiti a quattro mani al pianoforte di Charlemagne Palestine da Corner insieme a Carlos Santos a New York nel 1978. Poi uno dei due lp di Judith Hamann uscito per Blank Forms, Music For Cello And Humming (ma anche il gemello Shaking Studies credo meriti molto) e Monument Of Diamonds di Kraig Grady uscito in estate per Another Timbre: una rivelazione! Per il resto io ascolto tantissima musica classica del Nord dell’India che è la mia passione da qualche anno a questa parte. Ti segnalo due bellissimi dischi di registrazioni di esibizione americane di Zia Mohiuddin Dagar, usciti, sorprendentemente, per la Ideologic Organ di Stephen O’Malley nel 2018.

Come vedi non ci sono dischi di trap fra i miei ascolti, ma cerco di tenermi sempre aggiornato su quello che avviene nel mondo musicale odierno, anche nel pop.

Fate finta che non c’è una pandemia. Portereste Anabasi dal vivo? Sarebbe dura? Dove suonereste?

Daniela Fantechi: Sarebbe bellissimo fare finta che la pandemia non ci fosse, o che fosse stata superata…
Ad ogni modo il brano “Anabasi”, che è un lavoro complesso a cui siamo molto affezionati e al quale abbiamo dedicato molto tempo, ha già avuto alcune esecuzioni dal vivo, la prima al festival Estate Fiesolana nel luglio del 2016, e ancora a Cafe Oto, Londra, nel dicembre dello stesso anno.

Idealmente l’esecuzione dal vivo di tutto il disco presupporrebbe un luogo dove siano presenti al tempo stesso un pianoforte, per “Anabasi”, e un organo a canne, per “Parva Lumina”.

Durante i mesi di stampa del disco – in tempi non sospetti – stavamo progettando di trovare alcune chiese che potessero ospitare i concerti di presentazione. Ma immaginando che non sarebbe stato facile, abbiamo anche lavorato a una versione di “Parva Lumina” per trio d’archi ed elettronica, che ci avrebbe permesso di portare in giro entrambi i brani con più facilità. Speriamo di poter presentare anche questa versione al più presto, ma dubito possa avvenire prima del 2021.