Il progetto singoli dei dTHEd: ri-creare la musica e il rapporto col pubblico
A un anno esatto di distanza dal loro folgorante esordio, Hyperbeatz vol.1, i 3 dTHEd sono pronti a una nuova avventura e a un nuovo viaggio da fare assieme a noi. Sono entrato in contatto con loro sin dal primo momento, avevo intuito subito come questo non fosse un progetto né estemporaneo né di pura ricerca sonora, ma che dietro ci fossero studi, sviluppi tecnici, musicali ed interscambi sociali molto forti e innovativi.
Il 5 giugno uscirà il primo singolo, ƒ╁र, per la collana ȜႮȠFरि☰☰, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare in anteprima. Si tratta di una suite elettroacustica di 15 minuti in equilibrio tra improvvisazione parametrica e scrittura generativa pseudo-caotica, che vede l’utilizzo di synth analogici, batterie acustiche e interventi vocali.
Caratteristica principale della collana è che i brani non saranno disponibili in streaming gratuito, ma saranno accessibili a un “prezzo politico”: solamente dopo aver eseguito una transazione simbolica, un’offerta di minimo 3 euro (1 euro a artista). I dTHEd cercano così di sensibilizzare pubblico e addetti ai lavori a una nuova consapevolezza sul ruolo dei musicisti, di dare il giusto valore al lavoro e ai risultati, e di costringersi a mantenere alta la qualità.
In occasione dell’uscita di questo primo nuovo singolo, ne ho approfittato per fare una chiacchierata con loro.
Innanzitutto come avete vissuto questa pausa inaspettata e forzata? Immagino sia stato uno shock forte all’inizio e che poi col passare dei giorni vi siate… sbloccati, anche comunicando tra di voi.
Simone Lanari: Ho visto gran parte delle mie attività e entrate bloccarsi all’improvviso, ho cercato di non smettere mai di scrivere e pensare musica. A volte mi fermo, poi riprendo e poi mi blocco ancora. Con dTHEd amo comporre come se fossi in un “laboratorio alchemico”, e devo divertirmi mentre lo faccio, altrimenti evito. Finché si suona in giro si riesce a sopravvivere (in tutti i sensi), senza il confronto con il pubblico è praticamente impossibile
Isobel Blank: Per quanto riguarda l’arte visiva e la musica, mie occupazioni principali, al momento è tutto sospeso. Parallelamente mi è arrivata una convocazione per la commissione di esami di maturità: talvolta insegno filosofia e storia, ma è difficilmente praticabile vista la situazione, perché in un’altra città. Certo non si campava solo di musica neanche prima, ma abbiamo dovuto sospendere svariati progetti, oltre ai live, elementi fondamentali anche come stimolo per creare cose nuove.
Fabio Ricci: Al momento del lockdown eravamo lanciatissimi nei live, avevamo in programma anche serate speciali ed inconsuete, ad esempio una con l’Università di Genova a giugno, che prevedeva una talk con gli studenti e un wall-mapping in un sito archeologico, erano in arrivo dei nuovi controller per live sperimentali interattivi con maggiore immersione da parte del pubblico… e invece si è fermato tutto. Al di là delle ovvie considerazioni sui disagi per il settore, davvero ci manca quella dimensione live. Non c’è nulla di meglio che parlare con il pubblico alla fine del concerto, sentirsi dire “serata pazzesca!”, con gente che poi fa da cassa di risonanza al progetto in maniera spontanea ed entusiasta. È qualcosa di impagabile, non lo sostituisci con i social… e invece…
Invece avete partecipato a una compilation di sostegno a un importante ospedale nazionale, con un pezzo inedito, splendido e che a mio parere sarebbe stato benissimo nel primo disco.
Simone: Il pezzo non è uno scarto dal primo disco, è un iper-ritmo su cui avevamo appena iniziato a lavorare. Ci siamo fermati perché il disco era già praticamente finito e non avevamo ancora trovato la chiave per sviluppare quel particolare brano… Recentemente lo abbiamo ripreso e portato avanti come meritava.Fabio: La durata del primo disco andava bene così com’era, abbiamo lasciato fuori moltissimo materiale sviluppato in fase di composizione, e il bello è che quel materiale non lo abbiamo più ripreso o considerato per questa collana nuova ȜႮȠFरि☰☰ o per i pezzi del prossimo disco che è ormai pronto… saranno tutte cose completamente nuove e diverse.
La compilation Interi Coprimi 16, cui abbiamo partecipato con un pezzo, fa parte di una realtà artistica molto valida ed interessante chiamata Stochastic Resonance. Loro ci avevano chiamato per far parte del progetto Artifacts, una mappatura audio/visuale di luoghi in esterna. Il progetto stava proprio per partire prima dell’incombere di questa emergenza pandemica, che, giusto per ribadire, ha bloccato tutto. Con il lockdown, come la fai la mappatura di aree esterne?
Il vostro esordio era dedicato alla neurodiversità. È tuttora un fattore decisivo di ispirazione o il futuro di dTHEd è rivolto ad altre cose? Avete cambiato modus operandi tra di voi dopo l’esperienza del primo lavoro assieme? Cos’è per voi la neurodiversità?
Isobel: Ho avuto talvolta a che fare con espressività differenti, anche in ambiti artistici come la danza e il teatro, e mi ha sempre incuriosito non poco la differenza di percezione, che si traduce in una strada differente alla creatività. Parlando di neurodiversità e di approcci alle vie dell’immaginazione, non sento così netta la separazione tra quel che si è soliti chiamare “normalità” e la diversità. Mi è sempre piaciuta l’immagine della diagonale per descrivere come io stessa mi muovo creativamente, non mi sento così distante.
Simone: Quando abbiamo iniziato a lavorare al vol.1 non eravamo entrati in argomento, ci siamo arrivati poi con naturalezza parlando di iper-ritmi, e Fabio ci ha svelato le sue riflessioni sulla neurodiversità a lavori conclusi. Si dà per scontato che esista una normalità, ma le più grandi rivoluzioni musicali hanno sempre origine da deviazioni di forme conosciute. Per questo abbiamo cercato di generare un linguaggio senza aggrapparci a strutture del passato (per quanto possibile). Probabilmente per una persona neurodiversa sarebbe la cosa più naturale da fare.
Fabio: Sai, è difficile riuscire a parlare di questi temi senza diventare discriminatori. “Diverso” è di per sé già una parola discriminatoria. Tu ed io, Diego, per motivi personali, abbiamo a che fare con la neurodiversità tutti i giorni, quindi lo sai: quando provi a porti nell’ottica di una persona neurodiversa esci completamente da qualsiasi schema o paradigma consolidato. Se non lo fai, sei destinato al fallimento, allo scontro. La neurodiversità resta uno dei pilastri del progetto, sebbene le cose nuove siano declinate in maniera differente rispetto al nostro esordio. Il modus operandi è rimasto fondamentalmente lo stesso (funziona così bene, perché cambiarlo?), anche se suonare dal vivo – finché è stato possibile – ci ha ampliato i canali comunicativi, in particolar modo quello dell’improvvisazione a 3, in tempo reale.
Ora presentate un progetto composto da singoli di lunga durata. Ho sentito la prima traccia solo strumentale, e poi con la parte cantata di Isobel. Differenza enorme. Quanto incide l’A.I. nei vostri lavori, la produzione finale, e come si pone Isobel con la sua voce pezzo per pezzo?
Isobel: L’Artificial Intelligence fornisce a volte lo spunto per una sfida entusiasmante. Dall’imitazione fisica di quello che sento fare alle macchine escono sempre cose interessanti, mi diverte cercare di riprodurre effetti vari, randomizer, granulatori. In alcuni casi magari l’ascoltatore pensa che siano effetti particolari ed elaborazioni a livello di editing, anche quando in realtà sono esperimenti realizzati solo con la voce, il che permette di portare gli stessi risultati anche dal vivo. Tutto questo ovviamente si mescola in molti casi con il lavoro che gli altri due fanno sulla mia voce, e credo che sia interessante l’effetto straniante dato dal dubbio se una voce sia reale o rielaborata.
Simone: L’A.I. è un meraviglioso strumento per generare materiale inedito e inaspettato.
Fabio: Io vedo l’A.I. sostanzialmente come una forma di neurodiversità. Per cui è naturale portarla dentro al progetto. Quanto incide? Difficile dire. Di solito io e Simone lavoriamo separatamente sugli iper-ritmi, ce li scambiamo e ognuno di noi inserisce elementi come meglio crede, inclusi elementi A.I.. Può succedere che l’intervento di uno stravolga completamente il lavoro dell’altro, Isobel poi ci svolazza sopra con la sua voce e devo dire che raramente snaturiamo il suo apporto. A volte la riprocessiamo, ma di solito non alteriamo il timbro, che ci piace così com’è. Ovviamente può anche capitare di prendere un suo frammento di voce e trasformarlo in un basso, com’è in effetti successo nel vol.1…
Isobel: Sì, è raro ed entusiasmante quello che succede alla vocalità in questo progetto, sentire la propria voce, ad esempio, trasformata all’improvviso in un basso o in qualche altro suono dalla parvenza artificiale.
Fabio: Ci tengo a precisare che stavolta abbiamo anche affidato il drumming a un esterno, al funambolico Brody Simpson, un session man superpreciso che suona anche in microtiming. Brody è stato in parte la cavia involontaria di un esperimento, ma ha capito perfettamente lo spirito del nostro progetto, si è divertito a sperimentare con noi, e c’è la possibilità concreta che lo ricontattiamo in futuro per altre cose. Abbiamo in mente un filone di sperimentazione che prevede il coinvolgimento di session man. Se vuoi, questo è stato un primo assaggio.
Il mastering di questo singolone che esce venerdì 5 giugno, giornata in cui Bandcamp dà tutti i suoi profitti agli artisti, è stato fatto dal mastering engineer degli Autechre. E dico Autechre. Perché questa scelta, e come giudicate il risultato del suo lavoro?
Simone: Abbiamo avuto culo!
Fabio: Beh, in parte è vero, ma occorre precisare che il vol.1 lo abbiamo dato in mano a Jeremy Cox, che lavora con Amnesia Scanner e Björk tra gli altri, ed aveva fatto un qualcosa di straordinario. Eravamo contentissimi e in prima battuta ci siamo rivolti a lui anche per questo singolo… ma il covid-19 (che sorpresa!) ha mandato il povero Jeremy in quarantena forzata a tempo indeterminato. Non può prendere alcun tipo di lavoro di mastering, né con noi né con nessun altro finché non rientra l’emergenza in USA. È stato allora che abbiamo pensato di contattare Noel Summerville: chi meglio di lui poteva lavorare su questo pezzo? Noel si è dimostrato superdisponibile, ha fatto proprio quello che volevamo per questa traccia di 15 minuti: un lavoro molto più analogico e dinamico, meno post-umano… pensiamo a questo punto di dare in mano a Cox il secondo disco (quando/se l’emergenza covid-19 rientrerà), disco che avrà pezzi di durata massima 7 minuti come vol.1, e di continuare con Summerville per la collana di singoli, che invece saranno sui 10-15 minuti a testa…
Quindi se domani Summerville vi contatta e vi dice “ho fatto ascoltare i vostri pezzi a Sean e Rob, per le tappe italiane del prossimo tour Autechre venite a farci da gruppo che apre le serate?”, che fate? Voglio dire: siete dei preti e vi chiama Dio in persona, non potete mica tirarvi indietro…
Simone: In questo periodo sto leggendo molti racconti di fantascienza, ma questo è il migliore di tutti!
Isobel: Io vado a comprarmi subito la tutina colorata anticovid per iI live! L’anello mancante tra Kraftwerk e Devo con una zuppiera in testa.
Fabio: Già immaginare tappe italiane in un tour Autechre mi sembra una rivoluzione copernicana, io comunque per sicurezza vado a caricare synth e controller in macchina subito, non si sa mai!
Vi vogliamo cosi! Questo primo capitolo di singoli in uscita ha da parte vostra un messaggio molto preciso e forte a livello commerciale e “politico”, cioè non più pre-ascolti gratuiti in streaming ma un rapporto di fiducia reciproca con il fan/cliente finale: almeno un euro a pezzo per ogni componente del gruppo.
Simone: Quei mesi in cui lavori a un disco non te li ripaga nessuno. Men che meno ora che sono saltati i live, e chissà per quanto tempo. Già perdiamo il piacere indescrivibile di suonare davanti a un pubblico.
Isobel: Servirebbe che qualcuno di molto famoso cominciasse a non fare più streaming gratuito, potrebbe aprire la strada per farlo anche nell’underground.
Simone: 3 euro sono una cifra simbolica e se vuoi irrisoria, ma può essere tantissimo quando sei abituato a disporre di tutta la musica che vuoi in streaming gratuito.
Fabio: Il no-free-streaming è anche un modo per fare un patto con chi ci segue, “ti fidi o non ti fidi?”. E paradossalmente è pure il modo migliore per alzare sempre di più l’asticella della qualità della nostra proposta… Continueremo a cercare modi per coinvolgere il nostro pubblico anche con formule diverse, ma ciò che ci interessava stimolare ora è una riflessione. Forse serve un cambiamento mentale, educativo.
Simone: Siamo davvero sicuri che regalare la propria musica sia ancora una formula efficace per promuoversi?
Fabio: Non abbiamo la risposta, ci interessa il dibattito. Noi intanto facciamo questa scelta.