Il “modernismo” di Pee Wee
Il clarinetto è stato uno strumento sfortunato in ambito jazzistico. Tra i protagonisti agli albori, addirittura strumento simbolo durante la swing era, con l’avvento del be bop diventa praticamente obsoleto, vecchio, fuori moda. Soppiantato dal sassofono, il clarinetto rimane in vita grazie a pochissimi musicisti, tra gli anni Quaranta e i Settanta, quando c’è un timido riaffacciarsi sulle scene del jazz contemporaneo. Tony Scott, Buddy De Franco, Jimmy Giuffre, Pee Wee Russell e poi John Carter sono tra i pochi jazzisti di un certo livello che suonano esclusivamente o, nel caso di Giuffre e Carter, alternandolo al sax, lo strumento che fu protagonista, insieme alla cornetta e al trombone, della nascita del jazz. In questo breve elenco la figura di Pee Wee Russell emerge con un’ulteriore anomalia rispetto agli altri suoi colleghi; è sempre stato considerato un musicista dixieland pur non avendo mai suonato, propriamente, dixieland. Sembra un paradosso ma è proprio così.
Andiamo con ordine.
Charles Ellsworth Russell nasce il 27 marzo 1906 a Maplewood, in Missouri, ma la sua famiglia è originaria di Muskogee, in Oklahoma, ed è lì che cresce e inizia a suonare vari strumenti musicali, su impulso del padre. Violino, pianoforte e batteria finché, dopo aver assistito ad un concerto del clarinettista di New Orleans Alcide “Yellow” Nunez, Pee Wee Russell opta definitivamente per il clarinetto. Nel 1920 la famiglia si trasferisce a St. Louis e qui inizia l’avventura musicale di Russell, accanto a musicisti del calibro di Bix Beiderbecke e Frankie Trumbauer, che poi si sposta a New York e si aggrega al trombettista Red Nichols e al chitarrista e bandleader Eddie Condon, con il quale suonerà e registrerà praticamente durante tutta la sua carriera.
Come dicevamo, Pee Wee Russell è sempre stato associato al dixieland, e i suoi compagni di palco sono quasi sempre stati in quell’ambito, anche se lo stile e l’approccio improvvisativo distano notevolmente dai cliché del genere, così come dall’estetica swing. Ma come suona Russell, perché è così particolare, così intrigante per certi versi? “Non è un virtuoso e il suo suono è ansimante e stridulo, ma dimentichi quei difetti quando senti la beatitudine, la tristezza, la compassione e l’umiltà che sono lì nelle note che suona”. George Frazier, giornalista e critico jazz.
Queste definizioni racchiudono in gran parte il fascino di Pee Wee Russell, quel suo costruire le improvvisazioni con un accento “moderno”, dove il rumore, il soffio, le note storte e le spigolosità sono parte integrante della musica. Pee Wee improvvisa in modo bizzoso, con frequenti suoni disarticolati e improvvisi slanci melodici, inserendo elementi grotteschi e lavorando spesso sui toni bassi dello strumento. La scelta delle note a volte può sembrare errata ma la costruzione delle anomale melodie è così efficace da tratteggiare assoli imprevedibili e originali. Il bello è che anche la sua faccia e i suoi atteggiamenti sul palco corrispondono a quel suono, con un andamento goffo e un’espressione triste, quasi fosse una sorta di Buster Keaton del jazz.
Tuttavia questa sua modernità non lo ha portato a frequentare altri ambienti e musicisti se non, appunto, il giro dixieland, forse per una sua pigrizia, per i suoi problemi con l’alcool, o semplicemente per un’ingiusta sottovalutazione delle sue qualità. Ma agli inizi degli anni Sessanta qualcosa cambia, le acque si smuovono. Dopo una crisi dovuta al suo cattivo stato di salute nella prima metà degli anni Cinquanta, sul finire del decennio Pee Wee riprende a suonare con regolarità e con i giusti apprezzamenti, anche da parte della critica. Le prime avvisaglie del cambio di rotta sono un incredibile duo con Jimmy Giuffre e un disco registrato insieme all’altro grande clarinettista, Tony Scott (Tony Scott And The All Stars, 52nd St. Scene, registrato il 6 agosto del 1958). Inoltre inizia a partecipare ad importanti festival jazz, suonando accanto a Coleman Hawkins e a Lester Young. E arriviamo così al febbraio del 1961, quando Russell incide il bellissimo Pee Wee Russell – Coleman Hawkins All Stars, insieme allo storico sassofonista e con, tra gli altri, Bob Brookmeyer al trombone a pistoni e Nat Pierce al piano e agli arrangiamenti, il tutto prodotto da Nat Hentoff. Questo nuovo interesse e rivalutazione del clarinettista attira l’attenzione del trombonista, arrangiatore e direttore di big band Marshall Brown, ansioso di accrescere la sua reputazione nel mondo jazz e intenzionato ad investire i suoi soldi su un progetto abbastanza audace: inserire in modo stabile Pee Wee Russell in un contesto moderno, vicino alle nuove tendenze del jazz degli anni Sessanta. E quindi, insieme al contrabbassista Russell George e al batterista Ron Lundberg, Brown e Russell allestiscono un quartetto pianoless (sulle orme del famoso gruppo di Gerry Mulligan e Chet Baker) con un repertorio da far spalancare gli occhi. Composizioni di John Coltrane, Thelonious Monk, Tadd Dameron e persino Ornette Coleman!
Pee Wee è interessato alla sfida e vuole finalmente mettersi alla prova con musicisti e brani lontani dal suo abituale giro, anche se la figura di Marshall Brown non lo convince del tutto, con quel fare da istruttore nei suoi confronti. Alle prime prove, agli inizi del 1962, assistono anche Kenny Davern e Roswell Rudd, che spronano Russell a continuare questo esperimento, convinti che il contesto sia finalmente quello giusto per un musicista come Pee Wee.
Il 15 ottobre del 1962 il Pee Wee Russell Quartet with Marshall Brown debutta dal vivo a Toronto. E, com’era facile attendersi, il nuovo gruppo scontenta totalmente i suoi vecchi fan e non convince i “modernisti”, ancora restii ad accettare il nuovo corso del clarinettista. Il quale, tuttavia, nelle interviste più volte sostiene di non aver mai suonato dixieland, bensì solo e soltanto jazz. E quindi non c’è nessuna rivoluzione in corso, ma un repertorio diverso. Che in effetti non è del tutto sbagliato.
New Groove, il disco del quartetto, esce per la Columbia Records nel maggio del 1963, dopo sedute di registrazione svolte con tensione e incomprensioni, tra la rigida disciplina di Brown e la rilassatezza e l’indolenza di Russell. Tra i brani presenti nell’lp c’è una “Red Planet” di Coltrane, la “‘Round Midnight” di Monk e “Good Bait” di Tadd Dameron, più altri standard come “Moten Swing” o “Chelsea Bridge”. Il disco è ben arrangiato, con un suono complessivo elegante e corposo, una ritmica puntuale e precisa e un affabile impasto fra trombone a pistoni e clarinetto. Pee Wee Russell finalmente improvvisa in un ambito a lui consono, e costruisce assoli inusuali, linee storte e note inattese sia su classici come “Taps Miller” di Count Basie che su brani “moderni” come “Good Bait”. Discreto e di supporto armonico nel tema di “‘Round Midnight”, commovente nell’enunciazione di “Chelsea Bridge”, con quel soffio intenso e le vibrazioni di un suono che viene da lontano ma che colpisce per la sua contemporaneità ancora adesso. A suo agio in “Red Planet”, dove mostra la sua capacità di improvvisare con un linguaggio ricco di echi free, Russell è eccezionale nella sua “Pee Wee Blues”, con un solo di altissimo livello. A mancare, nel disco, è un contraltare all’altezza, perché va detto che il buon Marshall Brown fa il suo compitino ma nulla di più, ed è un peccato perché contrabbasso e batteria suonano egregiamente. Le recensioni sono buone, dal vivo il gruppo riceve consensi entusiasti, addirittura Pee Wee vince il critics’ poll di Down Beat come miglior clarinettista dell’anno, ma i pregiudizi sono duri a morire e il disco non vende, non quanto dovrebbe. Tuttavia questo non ferma il nuovo corso di Russell e nel luglio del 1963 il clarinettista suona insieme a Thelonious Monk al Festival Jazz di Newport, suscitando clamore tra il pubblico e critiche positive tra i giornalisti. Prima di questo concerto il quartetto con Marshall Brown conclude le registrazioni e vende alla Impulse il secondo album, Ask Me Now (che però verrà pubblicato solo nel 1965), con una tracklist di tutto rispetto: insieme a brani scritti dallo stesso Brown, e a classici come “Prelude To A Kiss” di Ellington o “How About Me?” di Irving Berlin, figurano “Ask Me Now” e “Hackensak” di Monk, “Some Other Blues” di Coltrane e un’incredibile “Turnaround” di Ornette Coleman!
Tuttavia le sedute di registrazione per il secondo disco hanno evidenziato ulteriormente il malessere di Pee Wee Russell nei confronti di Marshall Brown, quella sua eccessiva rigidità nel registrare e allo stesso tempo l’inconsistenza improvvisativa che, a detta di Russell, ha pregiudicato i due lavori fin lì conclusi. Tanto è vero che i due provano a cambiare line up, a modificare qualcosa per tentare di raddrizzare il gruppo. E allora, a settembre del 1963, in previsione di una settimana di concerti al Village Vanguard di New York, il quartetto viene ampliato con l’inserimento del pianista Bob Hammer, Jack Six al posto di Russell George al contrabbasso e Ronnie Bedford alla batteria, che già aveva partecipato alle registrazioni di “Ask Me Now” in luogo di Lundberg. Ma ormai non c’è più nulla da fare, il progetto è al capolinea e queste saranno le ultime esibizioni del gruppo, che si scioglie subito dopo, molto prima della pubblicazione del secondo album. A conclusione dell’esperienza Pee Wee dirà che non ricordava di aver mai preso così tanti ordini dai tempi della scuola militare. E oltretutto, dal punto di vista economico, fu un completo fallimento.
Resta da commentare l’ultimo disco, quell’Ask Me Now pubblicato addirittura dalla Impulse. Anche questo lavoro è ben arrangiato, in modo abbastanza tradizionale ma con garbo ed eleganza. E nel complesso è leggermente superiore al lavoro d’esordio, sia per una prestazione migliore di Brown che per un’ottima scelta dei brani, tra i quali gli originali del trombonista certo non sfigurano. L’apertura è affidata al brano di Ornette Coleman, una “Turnaround” suonata come un blues d’altri tempi, il suono caldo e quelle note appena accennate di Russell che emozionano e incuriosiscono. In “Some Other Blues”, di John Coltrane, Pee Wee alterna richiami dixie a passaggi moderni, a note strozzate, in un solo di rara creatività, mentre “Ask Me Now” di Monk ha tutto il calore e il sapore dell’ebano, della tradizione jazz. “Licorice Stick”, uno dei brani originali, dall’andamento monkiano, è significativo per l’alternanza dei soli, tra un Brown discreto, ordinato, e un Russell pieno di passaggi inusuali, avventurosi, come se il più giovane fosse lui invece del trombonista. “Hackensack”, sempre di Monk, è divertente, briosa, mentre lo standard “Angel Eyes”, privo di improvvisazione, è ben suonato da Marshall Brown, che qui fa intravedere le sue qualità di narratore tematico.
Come dicevamo, il disco esce nel 1965, quando il gruppo già non esiste più e Pee Wee Russell è tornato ai suoi vecchi amori, al suo classico giro di musicisti dixieland, Jack Teagarden, Bud Freeman, Eddie Condon. C’è ancora spazio per concerti insieme al trombettista Henry “Red” Allen con una ritmica che vede Steve Kuhn al piano, Charlie Haden al contrabbasso e Marty Morell alla batteria e, nel 1967, un’insolita produzione di Bob Thiele: Pee Wee insieme ad una big band con musiche dirette e arrangiate da Oliver Nelson. Purtroppo, nonostante la buona prova del clarinettista, l’esperimento non sembra del tutto riuscito, anche perché il suono e lo stile di Russell non sono propriamente adatti alla forza e all’estetica di una big band.
Finisce così l’avventura “modernista” di Pee Wee Russell, e c’è un grande rammarico per quanto avrebbe potuto ancora dare se fosse stato più deciso nel continuare la svolta e magari avesse cambiato i partner. Ma così non è stato e, in ogni caso, pur in ambiti particolari, Charles Ellworth Russell ha continuato a regalarci ottima musica fino alla sua morte, avvenuta il 15 febbraio 1969.
Per trent’anni abbiamo tutti creduto che Russell facesse delle note sbagliate e lui ce lo ha lasciato credere; in realtà sapeva esattamente quello che suonava e noi abbiamo impiegato quasi trent’anni per capirlo! (Coleman Hawkins)