IL CLORO, Aquarius
Facendo partire il nuovo album de Il Cloro, progetto che al momento è appannaggio del solo Fabrizio Baldoni, abile dj e curatore di programmi radio oltre che musicista, ci si ritrova immediatamente in un’umidità calda e percussiva, grazie all’utilizzo di strumenti come vibrafono (appannaggio di Eno Maria Ginexi), m’bira e finanche il flauto. Sin da subito si comprende quanto tutto questo suoni genuinamente alieno e colorato. “Alieno” come aggettivo caratterizzante qualcosa che sta “fuori” di proposito: fuori dalla compostezza, fuori dal grigiume, fuori dalla musica pop occidentale. Si balla in una sorta di libertà serafica con “Waka Woka”, ma ogni traccia ha in sé una parte di luce che ci spinge a un movimento, all’istinto primordiale dell’essere umano di seguire un ritmo. Facile pensare a Jon Hassell, ma la mistura preparata da Il Cloro è veramente una pasta madre apolide, che viaggia attraverso un pianeta intero raccogliendone suggestioni sonore, lievitate e cotte secondo sette meravigliose ricette, ognuna di esse speziate e colorate in maniera differente. I ritmi sono avvolgenti ma non frenetici, il taglio dei brani ha una lucidatura e una patina hi-tech e, magicamente, l’autore sembra letteralmente scomparire dietro la sua opera. Non è un musicista italiano a prendere suggestione dal mondo, non è un avvicinarsi di culture. Sono note in libertà a unirsi meravigliosamente in sette brani, in commistioni animali, ritmiche e di colori: tracce di presenza de Il Cloro furono trovate già prima del 3000 A.C. ed è quindi elemento che ha avuto tutto il tempo per infiltrarsi nel mondo, e quando viene chiamato a raccolta questo è il risultato, un viaggio attraverso luci e sensazioni, corroborato da miliardi di vibrazioni che per comodità chiameremo suono.
Il suono de Il Cloro, Aquarius.
P.S.: qui il pre-ordine.