I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDRAL, Rec.Requiem
Che fare quando comprendi che la maggior parte delle persone hanno su di te l’effetto devastante di calamità naturali? Quando ogni impulso umanista – sotto forma d’arte – viene costantemente ostracizzato e soffocato? Quando si è costretti a guardare quel nulla che oggi nelle classifiche di fine anno ci ostiniamo a chiamare avanguardia musicale? Popoli della Terra, siete stati avvelenati: i quattro atti del disco Rec.Requiem ribadiscono il concetto di William S. Burroughs senza farsi prendere da un panico apocalittico. Col nuovo progetto I Feel Like A Bombed Cathedral, Amaury Cambuzat scavalca i rimandi a Jim Carroll e riprende il pensiero pregno di speranza di Tarkovskij in “Andrej Rublëv”, l’estatico dialogo in cui il pittore intraprende col vecchio maestro Teofane: Nevica… e non c’è niente di più tremendo che vedere nevicare dentro una chiesa, è vero? L’anima di un uomo, come il suo corpo, ha lo stesso sacro valore di una Chiesa depredata di tutto e umiliata da tutti. In poco meno di cinquanta minuti di chitarra elettrica, registrata in presa diretta (per conservare la purezza del gesto) e supportata un manto di effetti analogici (il vero protagonista sonoro), percepiamo effettivamente la fine di un mondo, rischiando, con grazia, di essere dilaniati da un impulso dicotomico: l’estremo controllo che ha l’artista nell’incubatrice nel suo studio a Parigi, quasi un coro di bambini da ammaestrare e piegare alla propria volontà, e l’ineffabile confusione di volere per forza registrare la propria morte e la seguente rinascita. L’elettronica mai invasiva, i feedback noise, le continue pulsazioni e i bordoni tesi e una stringa chiusa, e perciò senza fine.
Rec. Requiem è il capitolo di un nuovo inizio per il geniale Amaury Cambuzat, che dopo venticinque anni dagli esordi con gli Ulan Bator, nella bellissima “Rev” che chiude il disco, sembra fare pace con quella spiritualità che nei cosiddetti artisti di oggi viene relegata nelle periferie dell’anima. Per dirla con Raymond Pettibon, Cambuzat con la sua arte non vuole esprimere violenza, rabbia o odio, vuole esprimere il perdono. O forse un eterno ritorno.