I dischi di Neu Radio: Molly Lewis, Dry Cleaning, Karu, Dezron Douglas e Moin
Tutte le settimane, all’interno di Portico, i nostri redattori musicali selezionano una novità discografica che li ha particolarmente colpiti. Ecco il riassunto dei dischi del cuore di Neu Radio di novembre. Buon ascolto!.
La Betta, Paradisco > MOLLY LEWIS, Mirage (Jagjaguwar, 2022)
Quando ascolto Molly Lewis ho due cose in mente: la prima è la tela “il sogno” di Henry Rousseau, detto “il doganiere”, la seconda è una parola veneziana, gibigiane, che sono i lampi di luce riflessa dall’acqua sulle superfici.
Lewis, giovane musicista statunitense, ukulele e bocca d’usignolo, già con The Forgotten Edge aveva dimostrato di saper evocare immagini potenti, che raccontano una natura onirica, lussureggiante e sensuale. Lei stessa compare come isola selvaggia all’orizzonte, nella copertina dell’ultimo album Mirage. Non sappiamo se tra i suoi ascolti compaiano Umiliani, Piccioni o Wanderley, ma l’orecchio sapiente vorrà immediatamente collocarla alla stregua dei grandi maestri.
Lewis è un’antica sirena che ci ammalia socchiudendo le labbra.
Enzo Baruffaldi, polaroid – un blog alla radio > STUMPWORK, Dry Cleaning (4AD, 2022)
I primi ep e soprattutto l’album di debutto dei londinesi Dry Cleaning, New Long Leg, li avevano quasi all’istante inquadrati come una delle band più distintive ed eccitanti di questi ultimi anni. Logico, quindi, che le aspettative per il nuovo disco fossero molto alte. Stumpwork, al netto della copertina forse più ripugnante del 2022, ripaga ogni attesa e conferma il valore del gruppo, trovando anche nuovi modi di sorprendere l’ascoltatore.
Per quanto la caratteristica principale e più evidente della musica dei Dry Cleaning resti il recitato impassibile, algidamente elegante, a volte austero e a volte imprevedibilmente sensuale di Florence Shaw, cambia però in maniera decisa il veicolo di questa voce. Dove in New Long Leg il tono era aspro e post-punk, in Stumpwork l’umore si sposta verso un ovattato territorio tra slow-core e post-rock, sommesse divagazioni slacker o addirittura più spesso verso un delicato jangling pop (vedi le chitarre di “Kwenchy Cups”, quasi REM, o quegli accenni di insolite melodie in “Gary Ashby” o nella title-track).
Stumpwork si presenta meno ansioso e irrequieto, meno giocato sui contrasti, e fa apprezzare una volta di più il puntuale lavoro di produzione di John Parish, con un maggiore utilizzo delle tastiere, innesti di sax e piano elettrico, e ritmi più languidi. Eppure, la forza con cui i Dry Cleaning colpiscono non appare per nulla diminuita. E qui arriviamo all’altra loro grande qualità: la scrittura, la pura e semplice capacità di dare luce alle parole e ai pensieri partendo da elementi disparati e imprevedibili, a volte anche comici o sentimentali.
Come ha sintetizzato acutamente Kieran Press-Reynolds (critico, tra l’altro, figlio del celebre Simon), era difficile, dopo New Long Leg, creare un nuovo archivio di citazioni immediatamente memorabili. La vera forza della Shaw e di Stumpwork non sta semplicemente nella sua vena surreale, ma nel modo in cui i suoi versi migliori riescono a cogliere verità eterne attraverso i piccoli modi in cui gli esseri umani sopravvivono alla distopia quotidiana: per esempio, come l’arrivo di una scarpiera per posta può distrarti dalle disfunzioni del decadimento tardo-capitalista in cui siamo immersi.
Albi Bello, Museek:Response > KARU, An Imaginary Journey (Beat Machine Records, 2022)
Non scopro di certo io la bontà di Beat Machine Records, etichetta milanese magistralmente curata da Luca Grasso. Sue l’intelligenza e l’attenzione con cui ha scoperto un progetto come Karu, quartetto che si diverte a fare del jazz un punto di partenza per viaggi, appunto, immaginari verso sconfinate sperimentazioni sonore. Il contrabbassista Alberto Brutti guida l’ensemble lungo un percorso che tocca sia le corde dei nostalgici del trip hop fumoso dei primi ’90, sia quelle dei più spericolati avanguardisti: 3 tracce per lato per una traiettoria mai banale che unisce culture e ispirazioni diverse in un unico mondo, dove una mistura di psichedelia e spiritualità tribale zittiscono l’attualità e ci offrono un rifugio pacifico, armonioso, energico e avvolgente. È un Sì maiuscolo se vieni da Up Bustle & Out, 9Lazy9, Herbaliser e ne vuoi ancora.
Morra Mc, Class+ e Beats In The Garden > DEZRON DOUGLAS, Atalaya (International Anthem, 2022)
Accompagnato da un ottimo quartetto, il compositore, contrabbassista, bassista di New York, Dezron Douglas fa uscire a metà di novembre un disco di jazz profondamente legato all’attitudine live e che sembra dovere molto ai grandi maestri degli anni ’50 e 60′, Coltrane su tutti. Anche se poi Douglas è capace di spiazzarci con inserti free e momenti più enigmatici, l’album rimane sempre molto caldo e poco banale grazie alla calibrata maestria dei protagonisti.
Laura Marongiu, Solaris > MOIN, Paste (AD93, 2022)
Moin è un “supergruppo” formato da Tom Halstead e Joe Andrews (i Raime) e Valentina Magaletti (una delle migliori batteriste in circolazione). Paste è il secondo lavoro sulla lunga distanza dei tre: un incontro tra alternative rock anni ’90, post-hardcore, manipolazioni elettroniche e tecniche di campionamento. Un collage di conosciuto e sconosciuto che rompe i confini di genere, creando qualcosa di nuovo (e a mio parere entusiasmante).