I dischi di Flamingo, ma sono festival
Ho vissuto l’estate più calda di sempre (per ora) facendo poche cose: evitando la spiaggia e il mare (sono genovese: ci vado da Settembre a Maggio), andando a concerti, facendo banchetti e vendendo dischi ai turisti che assalgono la città. Questi ultimi vengono considerati dagli autoctoni come un vero flagello ma c’è da dire che, da quando ci sono, nei mesi estivi ha finalmente senso lavorare e tenere aperto il negozio. I genovesi infatti da Giugno a fine Agosto mica stanno in città: se ne vanno nei bricchi (sui monti, in campagna) e da lì aspettano che passino i vandali stranieri (lombardi, piemontesi, tedeschi, francesi, nordici generici). Ciò vuol dire che Genova si svuota e rimangono giusto i più coraggiosi a soffrire le pene dell’inferno a causa del devastante caldo umido. Ci siamo quindi concessi un paio di chiusure andando a due festival di genere a banchettare. Ne avremmo visti volentieri di più, ma purtroppo dovevamo fare delle scelte.
Il primo è stato il “Punk Rock Raduno” a Bergamo, arrivato quest’anno alla quinta edizione. Come potrete intuire facilmente si tratta di un festival Punk Rock nella forma più pura, quello che alle mie orecchie da metallaro alternativo suona come “Blitzkrieg Bop” dei Ramones e da lì non si sposta. Doppio palco (più extra-eventi) e scaletta super seria con Peawees, Huntingtons, Dan Vapids, Manges, i “nostri” Coconut Planters, Stinking Polecats, più una giornata maggiormente “open mind” – che ho gradito in modo particolare – con Bobby Lees (su Ipecac: cercateli, soprattutto live, e non ve ne pentirete), Babyshakes, Bull Brigade. Va da sé che lavorando ho seguito tutto con mezzo orecchio (e già sono mezzo sordo) ma la cosa più bella era l’atmosfera che si respirava, per quella non c’era bisogno delle orecchie. Bambini, punk rockers duri e puri, metallari, famiglie e curiosi si sono dati appuntamento nel bel parco dell’Edonè per ascoltare buona musica, mangiare bene, comprare dischi (non c’eravamo solo noi ma tanti altri bei banchetti che ho saccheggiato rendendo vano il guadagno delle giornate) e fare nuove amicizie. Tanta educazione, tanta bella gente. Il prossimo anno fateci più di un pensierino: tanto l’ingresso è gratuito.
Il secondo festival a cui abbiamo partecipato con il banco dei dischi è stato il BayFest, manifestazione decisamente più mainstream che si tiene dalle parti di Rimini. Nomi giganteschi (Millencolin, Interrupters, Flogging Molly, Sick Of It All, Circle Jerks, The Hives…), biglietto decisamente più impegnativo, banchetti trendy, security, gli odiatissimi token ma anche un palco gigantesco, sebbene non sempre con dei suoni adeguati. Qui la situazione è stata più anonima, si respirava meno il senso di comunità, sebbene noi siamo riusciti a creare un folto numero di aficionados attorno ai nostri tavoli. Però è stato il classico festival in cui la maggior parte del pubblico è andata per il nome principale più che per godersi anche il resto della giornata. Per farvi un esempio che potrebbe calzare (sigh), pur noi avendo venduto molto bene, il banchetto che ha fatto più vendite era quello dei calzini griffati! Due facce della stessa medaglia punk rock (non hardcore, eh), due modi di vendere un prodotto di successo a due tipologie di pubblico diverso. Il primo più attento alla qualità e all’underground e che non ha paura di accettare e confrontarsi con situazioni più normali, un altro più generico che punta all’incasso e ai nomi che possano garantirlo e che non fa parte di una vera e propria nicchia. Highlights del festival: la reunion dei Circle Jerks (con Joey Castillo alla batteria), i perfetti Interrupters (a me non fanno impazzire su disco, ma sul palco sono pronti per gli stadi) e i divertentissimi Ignite con il nuovo cantante che sembra uscito dai Manowar. Ma tutte le band hanno fatto prestazioni più che dignitose.
A Genova, sebbene ci siano stati parecchi concerti, non c’è stato quasi niente di interessante per il mio palato. Sicuramente i Voivod, che qui in redazione sono un vero e proprio culto, e che hanno fatto un meraviglioso concerto che ha convinto tutti i presenti. L’età media del pogo era parecchio alta e per questo non durava più di qualche secondo, ma le facce estasiate di band e pubblico facevano capire di essere stati ad un evento senza precedenti in una città che non offre quasi niente ai metallari. Il secondo bell’evento lo hanno organizzato degli amici e si chiama Festival Delle Periferie ed è nato per dare voce e palco ai piccoli gruppi locali ma pian pianino ha fatto dei passi in avanti fino a diventare uno degli appuntamenti più attesi dell’estate genovese. Quest’anno hanno suonato parecchie band che ho avuto il piacere di produrre (Yalda, Ut, FuFaz Quartet, Nona Decima Morta, Frana) assieme a future promesse e nomi più blasonati come Bachi Da Pietra, Nadja, Infection Code. In un festival come questo (esattamente come accadeva nel mitico Genova Urla di qualche anno fa) si respira un’aria rilassata, familiare, amichevole ma anche curiosa e viene coinvolto ogni tipo di pubblico e di ogni età. Ogni città dovrebbe avere un evento analogo in cui le band possano confrontarsi con professionisti, esibirsi in un palco con dei bei suoni, con artisti affini al genere proposto. Penso che dovrebbe essere la base esattamente come le strade asfaltate e la spazzatura portata via, anzi di più. E, invece, ogni anno gli organizzatori devono fare i salti mortali per mettere insieme i fondi per garantire la buona riuscita della manifestazione. Perché festival di questo tipo sono uno stimolo per la scena locale, un motivo di aggregazione per i giovani e i meno giovani, una possibilità di lavoro ma anche tanti altri motivi che noi appassionati conosciamo bene.
Supporta il tuo festival estivo locale, sempre!