HYLE
Le Hyle ci hanno colpito, inutile far finta di nulla: il loro Malakia lascia pensare a una band con una visione chiara e la voglia di cercare un approccio personale all’estremismo sonoro. Una consapevolezza che si vede anche nel come spiegano il loro modo di affrontare la cultura e i temi sociali che veicola. Per questi motivi è scattata la voglia di approfondire il discorso su di loro anche con un’intervista, così da rendere più completa la presentazione. La parola a Olli (voce), Pilvia (chitarra), Sulvia (basso) e Gina (batteria).
Cominciamo col parlare del vostro background e di come vi siete conosciute, mi sembra di capire che le Hyle non siano un’entità legata al solo discorso musicale, ma che ci sia dietro anche una comunione di intenti e visioni. Mi sbaglio?
Pilvia: La nostra può essere definita come un’amicizia fondata su comuni idee e necessità, anche riguardo la più ampia “scena” di cui sentiamo di fare parte. Ci siamo conosciute finendo tutte nella stessa città, Bologna, e abbiamo deciso di iniziare a suonare per fare un gruppo assieme.
Sulvia: Esatto, prima di tutto ci siamo trovate come amiche, che condividono certe idee e visioni, aspetti che riportiamo nei testi. Ci siamo conosciute per una serie di motivazioni, come la frequentazione di XM24 a Bologna. Poi, per esempio, io e Olli ci conoscevamo già dai tempi della scuola, ascoltavamo gli stessi gruppi che ancora oggi un po’ ci ispirano!
Del resto, l’esperienza XM24 è centrale nel fornire alcune coordinate e individuare il vostro mondo di riferimento. Vi va di parlarci un po’ della situazione attuale di Bologna e delle politiche culturali attuate in questo momento in città (ma direi in modo similare anche nel resto d’Italia)?
Pilvia: XM24 è il posto dove abbiamo iniziato a fare le prove, nella stessa saletta in cui proviamo ora, che assieme ad altri gruppi abbiamo risistemato rendendola una funzionalissima sala prove e una discreta sala concerti.
Al momento la situazione bolognese è molto grigia. Siamo a due settimane di distanza dallo sgombero combinato di Crash e Làbas, a un mese dallo sgombero delle case in via Gandusio e a una settimana dallo sgombero, dal marciapiede, dei solidali e degli ex abitanti di via Gandusio. Siamo davanti ad una giunta che di “sinistrese” non ha più nulla, una giunta che si nasconde dietro la questura e dietro inutili farse di partecipazione e collaborazione con la cittadinanza. In tutto questo per XM24 tira una brutta aria. L’amministrazione parla di futili problemi tecnici per non ammettere la volontà politica di spazzare via tutto ciò che non è conforme e compatibile con la realtà che vorrebbe.
Olli: Bologna sta appesantendosi sempre di più, come altre città italiane. Ci sono state altre vicende, oltre quelle appena citate da Pilvia, che negli ultimi anni hanno veramente ingrigito questa città: lo sgombero di Atlantide, della Consultoria Transfemminista, le occupazioni di SociaLog, tutto ciò che è ruotato attorno alla situazione universitaria, gli arresti per il caro mensa e lo sgombero della biblioteca di via Zamboni 36, i numerosi fogli di via dati durante il G7 che c’è stato a Bologna. Nel frattempo il decreto Minniti si è fatto sentire, si è reso presente e palpabile. Credo che l’unica cosa che ci rimane ora è vedere come proseguirà il tutto.
Lo stesso titolo del vostro debutto, Malakia, ha un significato profondo e si staglia contro la separazione dei generi e la tradizione che vuole maschile e femminile come universi contrapposti e non interscambiabili. Possibile che ancora oggi questa rivoluzione per il superamento dei generi faccia così paura?
Gina: A quanto pare sì. Cresciamo tutti con un concetto strettamente binario che ci impedisce di essere chi vogliamo e che ci dice come dobbiamo comportarci e rapportarci al mondo. Superare un costrutto sociale che esiste da così tanto tempo non è facile per nessuno, perché smontare tutti questi concetti ci porta a dover riflettere su di noi e sul nostro stesso comportamento e a capire che, magari, non siamo riflessivi, antifa e ultra-antisessisti come pensavamo. Sicuramente è tanto da affrontare ma non deve essere neanche una scusa per chi si comporta da stronzo e si chiude a una autoriflessione. Secondo me uno dei motivi fondamentali di questa “paura” è la perdita di certi privilegi. Nella nostra società è privilegiato chi è bianco, maschio o cis-gender, etero e able-bodied. Chi ha quei privilegi non è sempre in grado di portare empatia verso chi non li ha, perché vuol dire trovarsi in una situazione in cui dovrà realizzare di essere spesso dalla parte del padrone.
Del resto è sempre più difficile trovare un riscontro esterno su certi discorsi. La società sembra sempre più considerare la cultura come mera valvola di sfogo e puro intrattenimento. Una concezione agli antipodi di periodi in cui al contrario l’arte era capace di far leva sulle coscienze e provocare mutamenti sociali. Non temete di restare una voce isolata e in grado di parlare solo ai pochi che già hanno una mente aperta al cambiamento?
Pilvia: Suonando questo genere musicale non arriveremo mai, e non è neanche nel nostro programma, alla più complessa e variegata scena underground. Credo che abbiamo comunque molto da dire anche a una considerevole fetta di quella che sentiamo essere la nostra “scena”, quella punk, diy e fortemente politicizzata. Siamo ben lungi dall’essere davvero anti-autoritari e orizzontali, ma troppo spesso ci sentiamo a posto con noi stessi perché “ehi, io organizzo eventi negli squat dal 1659, dov’eri te, eh?” oppure “ehi, io faccio parte di tale spazio anarchico, che cazzo vuoi?”. Fregiarci di appellativi che non ci appartengono non ci renderà automaticamente liberi da tutte le nostre gabbie.
Olli: Credo che prima di affrontare un “riscontro esterno” bisogna lavorare sul “riscontro interno”. Per quanto sembra che i nostri ambienti siano liberati e sradicati da quella che è la nostra cultura di appartenenza, credo ci sia veramente tanto ancora da affrontare. Forse prima di guardare al di fuori, bisogna guardare ciò che ci viviamo dall’interno: molte persone applicano discorsi che sembrano già pronti e impacchettati, discorsi anche molto belli ma che poi non vengono mai messi in pratica; dobbiamo smetterla di nasconderci dietro grossi paroloni e dietro alla scorrevole dialettica e riflettere un po’ di più su cosa veramente ci fa tenere aggrappati a una cultura soffocante, ma che ci ha effettivamente cresciuti e ci tiene ben stretta a sé.
Sulvia: Sicuramente all’interno dei posti che frequentiamo e tra le persone che gravitano attorno ad essi c’è chi supporta e condivide ciò che supportiamo noi, anche se non è tutto così scontato. Proprio perché siamo parte della società che ci circonda e, chi più chi meno, ci vive a stretto contatto, c’è il bisogno di discutere e mettersi in discussione sempre. Credo quindi che, per ora, il nostro sia già un buon traguardo, perché mi piace molto quando una persona che magari non ci conosce o non ci ha mai ascoltate si interessa e ci chiede di spiegare cosa facciamo e cosa pensiamo.
Vi sentite legate a qualche scena/movimento particolare in campo musicale, quali i vostri punti di riferimento anche da un punto di vista di approccio e attitudine?
Pilvia: Ci sentiamo parte della scena punk-hc e diy che ha forti legami con la componente politica. La maggior parte delle volte organizziamo o ci troviamo a suonare in situazioni benefit per dei progetti o per dei compagni inguaiati con la legge. Non abbiamo nessun genere di paraocchi o presunzione in questo, ma, almeno personalmente, il mio approccio alla musica è questo.
Gina: Credo che le Hyle siano fortemente legate a una scena DIY politica. Oltre fare parte di una Sala Prove Autogestita siamo anche parte di un collettivo Queer Femminista che si chiama Queers Of Chaos. Le esperienze che abbiamo fatto in questi due collettivi sicuramente influiscono molto sul nostro approccio al suonare e alla scena DIY e il fatto di essere coinvolte in uno spazio come XM24 ci porta a confrontarci continuamente con le realtà nostre e di altri compagni.
Uscite come coproduzione tra varie etichette attive nel giro diy, quindi autoproduzione come scelta politica e condivisione anche a livello personale. Come avete scelto chi coinvolgere? Vi va di presentarcele?
Gina: Le varie etichette che ci hanno aiutato con questa coproduzione sono tutte legate al giro punk-hardcore politico e tanti tra i gestori sono conoscenti e amici nostri. Fra le etichette che ci producono ci sono Dio Drone di Firenze, Zas Autoproduzioni di Torino, Calimocho Autoproduzioni di Varese, Equal Rights Records di Forlì, Nuclear Chaos di Modena, Fra il dì e il fa’ di Udine e Death Crush di Ancona. È stata la prima volta in cui abbiamo coinvolto delle etichette per co-produrre un disco, perché le altre nostre uscite le abbiamo autoprodotte. Siamo contentissime di tutto il supporto che abbiamo ricevuto da loro e per la mano che ci hanno dato a realizzare il nostro primo 7″.
Sulvia: L’autoproduzione è una delle componenti fondamentali, il DIY appunto, che rispecchia ciò che facciamo da quando abbiamo avuto l’idea di suonare insieme, creare uno spazio per la sala prove autogestita, suonare in certi posti o contesti, stampare da noi e assemblare la prima demo, insomma si continua ancora così, con etichette e scelte politiche fondate su questo. Insomma, abbiamo coinvolto persone che condividono ciò che ci sta a cuore.
Siete in grado di costruire brani capaci di bruciare nel giro di poche battute, eppure non rinunciate a cambi di tensione e rallentamenti utili a dare profondità al tutto e rendere meno scontato il risultato finale. Quanto vi sentite differenti rispetto a quando avete iniziato qualche anno fa e che tipo di cambiamento ha provocato nel vostro stile questa crescita?
Pilvia: Ci sentiamo senza dubbio diverse rispetto a quando abbiamo iniziato. Per tutte noi, eccetto Erika, che ora non suona più con noi, era il primo gruppo, abbiamo imparato a suonare così. Inizialmente l’idea era quella di provare a suonare del power-violence becero e credo che, pur se inconsciamente, questa dichiarazione d’intenti ce la trasciniamo ancora dietro. Quella della durata dei pezzi non è propriamente una scelta: ci viene spontaneo scrivere pezzi con questa struttura e questo tipo di durata, a causa delle nostre influenze musicali.
Gina: Il cambiamento per me più notevole è la dinamica che riusciamo ora a creare in sala prove quando scriviamo i pezzi. Ora che suoniamo assieme già da quasi tre anni si è creata una dinamica in cui capiamo subito se una cosa per noi funziona o meno. Si sente che abbiamo obiettivi condivisi e sappiamo in quale direzione andare nonostante tante influenze musicali diverse. Mi è sempre piaciuto il fatto che crearci un suono nostro sia stato un processo comune che ci ha fatto crescere come musiciste ma anche stretto la nostra amicizia.
Sulvia: La crescita è stata senza dubbio una parte costante delle Hyle. Dopo che Erika ha deciso di lasciare il gruppo, io per esempio sono passata dal suonare la chitarra a suonare il basso un po’ per necessità, ma anche perché cambiare può essere del tutto positivo per il gruppo e poi suonarlo mi piace moltissimo. I pezzi all’inizio non erano strutturati come adesso, eravamo alle prime esperienze e ci abbiamo messo tanto impegno e costanza per arrivare fino a qui, e tanto dobbiamo ancora fare ovviamente. I pezzi più o meno durano circa meno di due minuti, sono veloci anche se a volte ci piace arricchirli con parti un po’ più lentone e suoni belli pesanti.
Come vi muovete per i live, avete dei principi guida nello scegliere dove e con chi suonare? Quali le situazioni in cui vi sentite più a vostro agio?
Pilvia: Sicuramente, come accennato prima, i benefit e le situazioni diy. Quello in cui crediamo ha anche e soprattutto degli aspetti pratici, e ci piace supportare al massimo delle nostre possibilità questo tipo di situazioni.
Gina: Situazioni DIY e spazi sociali e per me soprattutto situazioni dichiaratamente femministe. Mi sento molto a mio agio suonando con altre donne o avendone tante nel pubblico. Non è un ‘must’ ma mi fa tanto piacere vedere altre ragazze che suonano, sentire le loro storie e spero che vederci suonare magari ispiri qualcuno a prendersi uno strumento e iniziare un gruppo.
Olli: Di principi guida non ce ne siamo mai posti, credo anche per il fatto che è sempre stato naturale e immediato suonare in contesti DIY e di spazi sociali, in contesti che già conoscevamo, perciò fino ad adesso non abbiamo mai dovuto scegliere o essere scettiche sull’andare in un posto o meno. Devo dire anche che tutti i concerti a cui siamo andate ci siamo sempre sentite a nostro agio e credo sia una cosa veramente bellissima.
Grazie mille per il vostro tempo, vi lascio lo spazio per condividere i vostri contatti e sopperire ad eventuali lacune nelle mie domande.
Olli: Grazie a te!
Pilvia: Grazie per lo spazio che ci avete concesso!
Sulvia: Grazie mille a te!