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HUNGRY LIKE RAKOVITZ, Vile

Era dal 2016 che gli Hungry Like Rakovitz mancavano dalle nostre pagine, per la precisione da quando Nevermind The Light aveva saputo colpirci grazie ad un suono sempre più claustrofobico e denso, con tanto di fuga verso territori dark-ambient sul finale.

A cinque anni di distanza la band torna con un nastro, formato già utilizzato per The Inevitable Return To Darkness, ep che anticipava di pochi mesi proprio quel disco, il che potrebbe quindi lasciar supporre qualche novità in lavorazione. Ciò su cui al momento possiamo concentrarci senza dover ipotizzare è questa tape e i quattro brani in essa contenuti, tre originali e una cover, atti a fotografare l’evoluzione della band e il suo flirtare ancor più marcato con impulsi sperimentali di matrice ambient. Questi input “esterni” sono infatti sempre più presenti nel contesto dei brani e nel modo con cui la band tratteggia il suo universo sonoro, il tutto senza rinnegare un’impressionante forza di impatto frontale figlia dell’hardcore e delle sue interazioni con forme più o meno contigue di estremismo sonoro, sia esso black, death, sludge o grind. La potenza d’urto degli Hungry Like Rakovitz irrompe sin dall’apertura con “The Overwhelming Need To Let You Down” (un titolo che è tutto un programma) e si ripresenta in forma persino più feroce nella lunga “Permanent Damnation”, il brano più complesso del lotto. Per dare un’idea molto approssimativa, si potrebbero rintracciare le radici di questo modus operandi nel seminale Seasons In The Size Of Days degli Integrity, disco che finisce per rappresentare la pietra di paragone ottimale non tanto a livello di suoni o strutture (gli Hungry Like Rakovitz sono ovviamente figli di tempi in cui l’estremismo e la contaminazione hanno innalzato di parecchio il livello sia a in termini di scrittura che di suoni) quanto nella ricerca di una forma espressiva che riunisca il primo piano con lo scenario, l’azione descritta con ciò che la circonda, la ferocia dell’assalto all’arma bianca con la casa infestata in cui lo stesso avviene. In questo contesto, l’inatteso omaggio ai Doors periodo Waiting For The Sun si inserisce senza strappi nel tessuto di Vile e si adatta in modo ottimale al suo mood d’insieme, merito della felice intuizione di optare per un brano particolare connotato dal minimalismo e pieno di richiami sonori ai rituali dei nativi americani. La libertà espressiva offerta dal formato ep, svincolato dalla necessità di organizzazione interna propria di un album, permette alla band di esplorare senza rete ogni sfaccettatura del suo universo in note, tanto da affidare il finale ad un brano strumentale dall’incedere dolente e tremolante, una sorta di visita guidata alla già citata casa infestata con cui si ribadisce la pulsione a sperimentare e percorrere nuove strade. Siamo in attesa a questo punto del nuovo album per capire come questi nuovi input andranno ad inserirsi nel suono degli Hungry Like Rakovitz. Per ora, resta la conferma di una realtà che ha già superato i quindici anni di attività e si dimostra sempre più sicura del proprio arsenale rumoroso.

P.S.: se cercate su Youtube il brano dei Doors, vi apparirà un video che sovrappone alla musica immagini di nativi intenti a danzare con maschere di animali, un po’ come le figure ritratte sulla copertina di Nevermind The Light. Non credo le cose siano in qualche modo collegate, ma la coincidenza ha colpito la mia immaginazione.