HORSENECK, Fever Dream
Fever Dream, ultimo album degli Horseneck, potrebbe tranquillamente essere la colonna sonora di un road-movie ambientato lungo le polverose arterie stradali che attraversano il sud-ovest degli Stati Uniti. Del resto, lo stoner/sludge pachidermico a tinte un po’ hardcore e un po’ rock’n roll della formazione di Sacramento, composta da membri degli Will Haven e dalla batterista di Chelsea Wolfe Jess Gowrie, ben si presta ad alimentare le suggestioni del Raoul Duke di turno, impegnato tanto in una spericolata corsa a Las Vegas, quanto in una surreale fuga da una realtà alienante.
Non a caso l’artwork ci propone il paesaggio iconico della Route 66 attraverso la Monument Valley, sormontato però da un braccio proteso verso il cielo e nella cui mano si apre un occhio, immagine carica di un misticismo che, sia scorrendo i titoli che durante l’ascolto di brani come “Pen15”, “Porcelain Ass” e “Mr. Funny Guy Full Of Bullshit”, appare fuori luogo: in Fever Dream dominano infatti ironia, sfrontatezza e un’impressione di spensieratezza, sensazioni evocate efficacemente dal giusto equilibrio tra riff furibondi e melodie più orecchiabili.
La maggior parte del disco si basa sul groove assicurato da una sezione ritmica massiccia e che non lesina sulle accelerazioni, nonché dal puntuale connubio tra i vorticosi giri di basso e i chitarroni distorti, ma non mancano le sorprese: gli Horseneck appaiono molto smaliziati nel ricorrere alle giuste soluzioni per solleticare il palato degli amanti di un sound più classico, come accade in “Happily Level Lafter” (un robusto stonerone stile Orange Goblin) e nell’opener Barbra Streisand (che vede la collaborazione del cantante R&B Gary U.S. Bonds), tuttavia trovano i risultati più interessanti lavorando sulle trame più personali ed elaborate di “Red Curtain” e “Sleeping With Silverfish”, veri e propri trip psichedelici che spiccano per soluzioni melodiche incisive e raffinate.
Forte di un songwriting intrigante e una produzione che mette in risalto l’esecuzione grintosa dei singoli, l’ascolto di Fever Dream procede in modo scorrevole e la prova della band appare distante dalle poco convincenti performance di band affini ormai schiave dei propri cliché (vedi i Red Fang), malgrado anche gli Horseneck si mantengano lungo tracciati ormai fin troppo trafficati. Un po’ come la Route 66: sempre suggestiva, ma non più così selvaggia.