HORSE LORDS, The Common Task
The Common Task è il quarto lp di questo quartetto strumentale di Baltimora, che fin dal debutto del 2012 ha immediatamente acquisito il favore della critica e del pubblico più attento della scena DIY Americana. Il duo elettronico dei Matmos (loro concittadini) li ha scelti in passato sia per collaborare su album, sia per girare insieme in tour, pur distante da loro quanto a territori musicali frequentati.
Alla base del sound degli Horse Lords ci sono tanta ricerca e tomi e tomi di teoria musicale, microtoni e intonazione naturale (sia chitarra, sia basso hanno i tasti modificati e riposizionati dal loro chitarrista Owen Gardner), minimalismo e influenze sonore dalle più diverse parti del mondo. Apre il disco “Fanfare For Effective Freedom”, con un suono di synth (dietro c’è il bassista Max Eilbacher) in un crescendo che ricorda il vecchio intro del dolby surround nei cinema prima dei film (questo stesso effetto lo ritroveremo diverse volte, quasi come fosse un trait d’union): i quattro partono all’unisono con un lento cadenzato, per poi prendere velocità e slegarsi, creando degli incastri squisitamente math-rock. Ci sono quasi tutti gli ingredienti che faranno poi parte del disco, tranne il sassofono di Andrew Bernstein, che in questa traccia si dedica alle percussioni. Segue “Against Gravity”, con un incipit quasi da disco-music stortissima, una lunga nota di sax, su cui basso e batteria e chitarra poggiano un groove dai toni minimalisti con echi di un Terry Riley in salsa post-rock. In “The Radiant City” ci sono esclusivamente la cornamusa dell’ospite scozzese Duncan Moore che duetta con il synth, in un orgia drone di ultra e infrasuoni.
Chiude il lato A “People’s Park”, il singolo che ha anticipato l’album con il relativo video: Andrew Bernstein dimostra anche qui di essere un ottimo percussionista, mettendo nuovamente il sax da parte e dando lo spazio a chitarra e basso, per tessere così delle trame più orientate alla matrice afro. È il brano che diremmo più semplice e gradevole, al punto tale che sembra concludersi troppo presto, lasciando l’ascoltatore a metà: una specie di coito interrotto.
“Integral Accident”, occupa l’intera facciata B dell’edizione in vinile, e si apre con un field recording di un concerto di musica da camera che vede partecipi gli altri ospiti di questo album, un quartetto composto da fisarmonica, voce, fagotto e violino. L’interazione dei due quartetti dà luogo ad una fuga dal sapore fortemente kraut rock, con un finale decisamente spaziale dato da un altro bordone di sintetizzatori in crescendo. Sarebbero dovuti venire il prossimogGiugno al Beaches Brew Festival di Ravenna: purtroppo la loro esibizione finirà nella lista dei tanti concerti saltati di quest’anno.