HORROR VACUI
Quello degli Horror Vacui è un altro nome in cui ci siamo imbattuti spesso, vuoi per la militanza dei protagonisti in altre realtà vicine al nostro sentire, vuoi per una proposta ai confini tra punk e death-rock (non a caso definibile come death-punk) che stuzzica non poco le nostre antennine. Inevitabile, quindi, contattarli nuovamente al momento dell’uscita di un nuovo album e al ritorno dall’America.
Ciao, siete da poco stati in tour negli States, vi va di raccontarci qualche aneddoto? Come è andata?
Marziona (chitarra): È andata ben oltre le aspettative. Alcuni di noi c’erano già stati svariate volte con gli altri gruppi in cui suoniamo e abbiamo suonato (Kontatto e Giuda), quindi è stata un’ulteriore sfida poter tornare con un gruppo dal genere molto diverso. Ci eravamo infatti fino ad allora confrontati solo con la realtà crust e punk nel senso più stretto del termine. Non sapevamo cosa aspettarci, anche se, condividendo l’esperienza con i Vivid Sekt, gruppo peace-punk di Portland che conta tra le sue fila membri molto attivi della scena DIY punk americana, sapevamo che avremmo comunque attinto dal bacino e da situazioni punk.
Nessuna dinamica patinata o da concerto in grande, per intenderci: piccoli club e house shows anche suonando death-rock o come vogliamo chiamarlo. La West Coast ci ha offerto moltissimi locali e trattamenti in termini di rimborsi e merch venduto più che ottimi. Città come Los Angeles, Oakland, Seattle e Portland non possono lasciare che soddisfazioni. Abbiamo potuto fare anche una data in Messico, dove speriamo di poter fare un tour completo presto. La East Coast invece ci ha offerto più house e basements show, che sono la situazione che prediligiamo negli USA, perché l’atmosfera è devastante, carica e positiva. Abbiamo anche suonato in Canada al Varning For Montreal Festival, allungandoci fin lassù per una data. Aneddoti ce ne sono moltissimi, come in ogni tour… dal gruppo spalla tormentone del tour, che dopo un set di quasi due ore e una presentazione personale oscena si guadagna il titolo di gruppo più merdoso e preso per il culo della storia (ogni tour ha una sua vittima designata), alla promoter mega dark gotica, ma cristiana e vegetariana solo in quaresima, dal sosia di Terence Hill nostro roadie per una parte del tour a una dieta solo a base di huevos rancheros e chipotle, dalla data in Messico con bevande al cactus e attraversamento della frontiera a piedi e di notte al rischio deportazione alla frontiera con il Canada, dal museo della pizza alla statua di Rocky, da Halloween in America ai “Dias de los muertos” in Messico, insomma, saremmo pieni di cazzate da raccontare.
Unico neo, il fatto che il nostro nuovo lp non è uscito in tempo e quindi erano disponibili solo 100 copie di test press in vinile, numerate e con poster, giuste giuste per coprire le 16 date. Doppia sfiga, dato che l’America è il paradiso del merch, infatti la gente supporta i gruppi in tour molto di più e compra molto di più. Abbiamo comunque venduto tutte le copie oltre alle versioni in cd, tape e al vecchio lp che avevamo con noi. Potevamo farne circolare molte di più, data la risposta super positiva, ma siamo comunque soddisfatti, anzi: ultrasoddisfatti. Non ce lo aspettavamo davvero e siamo contenti che la nostra musica piaccia soprattutto a un’audience così selettiva e attenta come quella americana.
Avete notato differenze nell’approccio alla vostra musica tra i due continenti? Credete che in qualche modo internet abbia avvicinato il modo di porsi di americani ed europei oppure restano sempre differenze marcate nel modo di vivere certe situazioni?
Senza dubbio il pubblico americano è molto più partecipativo e devoto al supporto dei gruppi e della scena. Oltre al fatto che – come accennavamo – comprano tantissimo merch, cosa fondamentale per un gruppo in tour, supportano anche moralmente partecipando molto allo show e interagendo. Si nota molta eterogeneità nelle persone presenti, anche nell’aspetto. Le persone hanno molta voglia di uscire e incontrarsi in situazioni di concerto, quindi anche eventi ravvicinati o addirittura nello stesso giorno sono comunque frequentati, anche in piccole città. Il lavoro dei promoter, seppur sempre in ambito diy, è tenuto in molta considerazione, cioè si apprezza chi si sbatte per portare i gruppi, invece che criticare ogni cazzo di cosa fatta come spesso accade in Italia. Soprattutto, si dividono molto i compiti, ergo chi organizza non deve anche cucinare, attacchinare, ospitare, pulire, curare i gruppi, fare da guida turistica… ma la community punk smezza le cose alleggerendo il tutto.
Non mi ricordo chi disse “se la scena non c’è, creala”, ma ogni volta ci sembra sempre più così, cioè che ci si ricorda di chi fa e lo testimonia un ennesimo esempio vissuto a Philadelphia, dove l’ingresso non c’era e la gente pagava direttamente al promoter, ringraziandolo addirittura per i concerti. Altro che ingresso a offerta libera dove lo stronzo di turno ti caccia dentro una manciata di ramini… ma vaffanculo.
Non è tutto oro quello che luccica ovviamente, ma resta comunque un altro mondo che spacca il culo.
L’altra grossa novità è l’uscita del nuovo disco, Return Of The Empire. A cosa si riferisce il titolo?
Come accennavamo prima il disco è in un oblio per il quale è effettivamente uscito (il cd e la cassetta ci sono), ma non avendo l’lp, tra l’altro il formato che ci sta più a cuore, non abbiamo fatto una vera e propria promozione. Chissà se sarà annoverato nelle uscite del 2014 o 2015. Il titolo si riferisce alla canzone The Fall Of The Empire presente sul nostro primo 7”, che era stata scritta sull’onda dell’entusiasmo della dipartita (purtroppo solo politica) di Berlusconi. I fatti di qualche anno fa, cioè la ritrovata amnesia di memoria storica della gente, con lui che a macchietta ricompare o muove le fila da dietro nascondendosi dietro altri politici, ci ha riproposto il tema nella sua drammatica attualità, simboleggiando questa altalena che va un po’ di qua e un po’ di là ma ti fa comunque strusciare il culo su una simpatica collinetta di merda che guarda al ridente panorama della presa per il culo perenne.
In generale di cosa trattano i testi e cosa ha ispirato i nuovi brani? Insomma, cosa è finito in questo disco a livello di idee, influenze, emozioni?
Dunque, tralasciando il sopracitato Return Of The Empire, alcuni testi parlano di libertà (“5000”) altri di schiavitù (“’Till The Last Drop”), alcuni di evasione (“The Right Cure”) altri di elucubrazioni notturne (“Opus Tenebris, Light Of Darkness”), alcuni di falsi amici che si rivelano tali (“Screens Of Infamy”), altri della vacuità dei momenti (“Time”).
Mi spiace sconvolgere qualcuno citando Vasco, ma alla fine è vero quando dice che le canzoni o le scrivi subito appena ti vengono in mente o ti spariscono dal cervello e non te le ricordi più. Spesso accade così… vedi una cosa, vivi un momento, ti girano le palle o ti prendi male, raccatti un foglio, uno scontrino, qualunque cosa, e la butti giù, fatta.
Mi ha molto colpito l’immagine dell’artwork. Come è nata e chi se ne è occupato?
Io ho proposto l’immagine e il concept che la sottende ed è piaciuta a tutti. L’immagine in sé è stata rubata da Google, o meglio è una delle tante foto disponibili scattate un giorno in Piazza San Pietro, quando alla liberazione di due colombe da parte del Papa di merda è seguita una carneficina a danno delle stesse perpetrata da gabbiani e corvi sotto gli occhi di migliaia di merdosissimi fedeli. Oltre al fatto che l’immagine è artisticamente stupenda in sé (ci spiace molto per le povere colombine, ma la natura abbiamo imparato che è matrigna con i più deboli) ci ha colpito molto perché sembra l’archetipo del male che trionfa sul bene, sbeffeggiando anche il luogo dell’accaduto e tingendo di macabro un becero rituale per far sorridere famiglie di fedeli compiacenti. Si può parlare per ore di questo involontario ma significativo episodio e del perché può essere considerato simbolico tanto da dedicargli una copertina. Le colombe vengono allevate in cattività e non sono autonome una volta liberate. Se sopravvivono abbastanza a lungo, infatti, non sono in grado di procacciarsi il cibo da sole e cadono quasi subito vittime dei predatori soprattutto per il loro piumaggio candido, frutto di incroci per crearlo il più ad hoc possibile vicino all’ideale di purezza e innocenza che le collega ai loro “utilizzi”. Questo le ha rese immediatamente individuabili dai predatori circostanti poiché impossibilitate al mimetismo che difende gli animali in natura. Parafrasando i fatti, la dura vita degli animali albini o che si voglia dire, bianchi, può simboleggiare anche il perpetrarsi dell’ingiustizia: una libertà, innocenza e purezza finta, creata da altri, finalizzata a scopi ben precisi e che si conclude con la perenne sconfitta e la capitolazione.
Anche a livello di suoni le cose si sono evolute e, pur senza cambiare la formula di base, la vostra scrittura si è fatta più personale e riconoscibile. Quali credete siano le maggiori differenze rispetto al passato?
I pezzi della primissima produzione facevano parte di un’embrionale serie di tentativi espressivi. Inoltre da due anni abbiamo una line up stabile, e ciò aiuta molto. Inizialmente, a livello musicale, volevamo riprodurre certe sonorità che ci piacciono e per ovvi motivi si sono palesati richiami alla tradizione di riferimento, anche se in modo più o meno involontario. Ora, rispetto al passato recente, abbiamo interiorizzato maggiormente il nostro suono, quindi tutto ci esce più semplice e spontaneo. La resa dipende molto anche da chi compone i pezzi. La composizione è più condivisa rispetto ai primi tempi, anche perché da quando abbiamo una line up definitiva abbiamo raggiunto maggiore compattezza interpersonale, che si traduce anche in maggiore consistenza musicale. Alcuni pezzi sono scritti da Andrea, che ha una sensibilità artistica e compositiva più spiccata. Altri da Koppa, che invece ha un approccio più diretto e old school. Il tutto viene intervallato da alcuni intermezzi creati da me e non appartengono né al primo né al secondo caso, ma aggiungono varietà alla paternità o maternità del risultato finale, condito da Enrico e Lara che sono due colonne nelle fondamenta sonore del gruppo.
Ovviamente nel 2014 non c’è molto spazio per innovazioni che non siano già state usate qua e là, personalmente però per noi tutto è una novità dato che apparteniamo a una scena musicale prettamente punk e suoniamo quello da sempre, quindi già avere certe sonorità pulite, una resa totale orecchiabile e non caotica e distorta, un cantato pulito e non gridato sarà sempre un’innovazione e una novità, almeno per noi.
Nonostante una marcata componente death-rock/dark, non avete mai lasciato in secondo piano la vostra matrice punk/hc, tanto da ringraziare i Wretched per l’ispirazione. Cosa vi lega loro e in che modo hanno segnato il vostro approccio?
Il punk è ciò che siamo e viviamo, infatti non abbiamo abbandonato i nostri altri gruppi, ma li portiamo avanti su un unico binario. Quello che siamo si riflette nella musica e nel nostro approccio ad essa. Per quel che riguarda i Wretched, al di là dei loro testi che sono il medicinale per curare i mali di tutti i giorni, ci piace quello che era il loro approccio alla musica. Non solo il diy, l’autoproduzione e il controllo di se stessi e del proprio gruppo, ma anche la rivendicazione di non voler far parte di qualcosa di grande, mainstream, patinato o compiacente in generale. Premettendo che nessun magazine, major o chi altro potrebbe mai fregarsene di un gruppo low profile come il nostro, il punto è che a noi non frega niente che qualcuno lo faccia. È bello che la tua musica piaccia o che venga promossa e apprezzata, ma non vogliamo fare di questo un motivo di stress o un obiettivo. Fare quello che ti piace come ti piace in modo coerente con te stesso e soprattutto accettando i tuoi limiti e le tue debolezze, sempre senza compromessi: questo ci hanno insegnato e questo portiamo nel cuore. Era un gruppo genuino e autentico, che ha vissuto il suo naturale corso delle, cose cioè vivendo il momento quando c’era, senza ricrearlo in modo artificiale con reunion assurde negli anni. Accettare che il tempo passa e se non vivi l’attimo, diventa passato e non ritorna. Accettare che quando una cosa è finita è finita. Accettare di avere fatto scelte giuste o sbagliate che siano. Vedersi con occhio critico, ma sapere perché si sono fatte certe scelte e come ci si è arrivati. Questo è.
Il disco esce anche negli USA grazie alla Black Water records, chi se ne occuperà invece in Europa?
In Europa sarà prodotto dalla magistrale Avant! Records e dalla nostra label del gruppo, Legion Of The Dead Records (costola dark di Agipunk).
Guardando indietro, pensavate che la vostra proposta ricevesse tanta attenzione? Siete contenti di come stanno andando le cose?
Non sappiamo se sia tanta o poca, ma c’è di sicuro attenzione verso il gruppo, soprattutto il nuovo disco sta piacendo molto.
Ne siamo felici soprattutto perché, per i motivi già detti, non abbiamo utilizzato determinate immagini preconfezionate ma che creano interesse, non abbiamo scelto determinati stili promozionali o altro. Abbiamo fatto tutto in modo molto genuino e spontaneo e siamo contenti che in molti lo apprezzino. Non è facile essere notati e apprezzati, soprattutto se sei un piccolo gruppo italiano senza arte né parte. Non veniamo certo da città che fanno curriculum, non abbiamo vestiti o trucco figo, non calchiamo il cliché richiesto. Quello che si vede è quello che è, siamo contenti di avere un buon seguito soprattutto per diffondere ancora di più la nostra musica e le nostre idee, per poter andare in tour spesso e in nuovi posti ogni volta.
Avete già programmi per un tour europeo o comunque per presentare il disco qui da noi? Quali i prossimi appuntamenti live?
Non appena sarà uscito faremo un piccolo plan. Purtroppo con il lavoro più o meno fisso è sempre più difficile trovare giorni o periodi di tempo prolungati che vadano bene a tutti e cinque membri del gruppo, ma andare in tour ci piace troppo, quindi cercheremo di farlo sempre e comunque, continuando a sacrificare tranquillità, relax e opportunità. Siamo stati invitati al Sacrosanct Festival di Reading, U.K., che è un bel festival di tre giorni incentrato appunto sulla musica oscura (goth, death rock, new wave, cold wave…), organizzato dai ragazzi dei Vendemmian (gran gruppo goth inglese). Attorno a questa data ci costruiremo un paio di settimane di tour. Abbiamo ricevuto molti inviti da parte di promoter tedeschi, francesi, danesi, austriaci e cechi, quindi metterlo in piedi, sulla carta, non dovrebbe essere così dura.
Con tutte le date che avete suonato in giro, avete qualche nome nuovo da suggerirci o qualche band con cui avete suonato che vi ha colpito in modo particolare da segnalarci?
Dunque, di sicuro i Vivid Sekt se siete nella vena dell’anarcopunk con voce pulita e femminile. La bassista e cantante suonava il basso negli ormai sciolti Moral Hex, che consigliamo comunque. Poi ben noti Lost Tribe, Arctic Flowers, Bellicose Minds. I Crimson Scarlet con la loro hit “Sanctuary”, con cui abbiamo avuto il piacere di condividere il palco ad Halloween, di sicuro il gruppo che volevamo maggiormente vedere dal vivo. Un altro gruppo molto particolare si chiama Stranger, per tre quarti femminile: abbiamo suonato con loro a Boston, molto atmosferiche. Nella compilation “Killed by Death rock” invece, che ci ha tenuto compagnia durante i lunghi spostamenti americani, segnaliamo un gruppo che si chiama Kitchen And The Plastic Spoon, non tutti li conoscevamo e sono stati amati subito. Un altro gran gruppo con cui abbiamo suonato è stato il primo dei gruppi di supporto del concerto di Tijuana, faceva surf ed aveva il batterista migliore del continente intero. Purtroppo non abbiamo mai visto il flyer e non ci ricordiamo il nome…
Grazie mille al solito, a voi la chiusura delle danze..
Grazie a te/voi per l’intervista. Speriamo di vederci al più presto e anche di vedere il disco il carne ed ossa… See ya in the pit.