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HORNWOOD FELL, S/t

Hornwood Fell

Dietro il debutto a nome Hornwood Fell troviamo gli instancabili Marco e Andrea Basili, già nel giro da diversi anni con molti progetti (Kailash, My Talking Pua, Hastur) e qui affiancati da Andrea Vacca, col quale già avevano lavorato all’epoca dei Krom.

Quello dei Kailash lo si ricorda come uno dei loro esperimenti più riusciti: in sostanza un avantgarde metal strumentale, le cui tonalità fredde lasciavano presagire, con senno di poi, qualcosa di questa nuova incarnazione grim e frostbitten nata alle pendici del monte Cimino. Nell’album l’eredità dei percorsi passati si unisce alle nuove esperienze ed evoluzioni dei fratelli Basili in quella che possiamo definire la loro idea di musica estrema, ovvero black metal tradizionale fatto di riff statici e batteria lanciata, dove non mancano intermezzi atmosferici e un sottile tocco di melodia. Le influenze si sentono tutte già nei primissimi minuti: il sound storico dei Darkthrone, i Borknagar d’inizio carriera, Nattens Madrigal degli Ulver, poi ancora Satyricon, Burzum… i classici insomma, ma gli Hornwood Fell sono capaci di metterci dentro quanto basta per non sembrare il solito gruppo derivativo o dalle mediocri intenzioni nostalgiche, evitando di rimanere seppelliti da quella valanga di noia che solitamente colpisce chi si cimenta nel “revivalismo scandinavo”. Si tratta comunque di un genere difficile da approcciare, in cui è stato fatto di tutto e di più, e il disco infatti non manca di punti deboli, ma il gruppo sembra uscirne a testa alta e ci regala un lavoro di cui forse non si sentiva il bisogno, ma che sicuramente male non fa.