HORNA, Kuoleman Kirjo
Quando si parla di black metal finlandese non si può prescindere dagli Horna. Kuoleman Kirjo è il loro decimo album in studio, pubblicato l’8 dicembre 2020 dall’etichetta tedesca World Terror Committee.
Pur facendo parte della seconda ondata, la band, originaria di Lappeenranta e attiva dal 1994, rappresenta un punto di riferimento nella scena estrema del suo Paese. La formazione ha subìto varie modifiche, delle quali l’ingresso di VnoM al basso è solo la più recente; la più significativa, anche a livello di immagine e di identità è però, a mio avviso, quella che vede Spellgoth, al secolo Tuomas Rytkönen, nell’impegnativo ruolo di frontman. L’unico presente fin dagli esordi, nonché fondatore, chitarrista, autore dei testi e principale compositore, è Shatraug, che ho sempre considerato un po’ il Tony Iommi del black metal finlandese: il suo riffing è un riconoscibilissimo marchio di fabbrica, molto spesso imitato dai suoi connazionali in termini di melodia ed efficacia.
L’album ha una durata rilevante, ma è scorrevole: oltre sessanta minuti di violenza, dettata appunto da furiosi riff in tremolo-picking con cui i due chitarristi, Shatraug e Infection (notevole nei cori e, in questo caso anche co-compositore) imbastiscono un tappeto sonoro assieme a LHR, che dietro le pelli riconferma una versatilità rara nel black metal più intransigente; non mancano in tal senso le deviazioni più marcatamente rock, qui evidenziate anche da un missaggio e da una produzione di qualità, in barba agli stereotipi del genere. Il ruolo del basso è tutt’altro che marginale e conferisce ulteriore profondità a brani complessi nella loro schiettezza. La voce di Spellgoth sembra provenire da un episodio di paralisi nel sonno: racconta di demoni, rituali ed esoterismo, di un satanismo vissuto come percorso interiore, in un’atmosfera tanto cupa quanto, in modo assolutamente oscuro e maligno, sacra.
Kuoleman Kirjo, pur rischiando di risultare prolisso, è un lavoro raffinato e ben strutturato, in cui vi sono dei riferimenti al passato della band (“Haudattujen Tähtien Yönä” ricorda vagamente “White Aura Buried in Ashes” nelle intenzioni), ma che mostra un’innegabile maturità compositiva e una “marcia in più”, senza perdere la squisita brutalità di cui i nostri ragazzi sono degli indiscussi maestri.