HOPE YOU’RE FINE BLONDIE, Quasi
Chitarre che sferragliano, esplosioni di rabbia e dilatazioni che tendono al minimalismo, cantato in italiano dal piglio sguaiato e un po’ istrionico, mood noise-rock anni Novanta e qualche strizzata d’occhio alla prima Seattle, questo e altro ancora si annida nelle dieci tracce di Quasi, un album difficile da incasellare se non proprio per quel piglio “so nineties” che ne pervade gli umori. Tra ritmi sinuosi e sprazzi di nichilismo punk made in Midwest, gli Hope You’re Fine Blondie hanno realizzato un menù sfizioso che potrebbe attirare ascoltatori di estrazione differente e si tiene a distanza debita da ogni tentativo di patinatura, basando il proprio appeal sul ritmo battente che ricorda Sonic Youth, Breeders e amici di scorrerie con un tiro da college radio alternativa e la capacità di richiamare alla mente le etichette indipendenti che hanno lasciato un segno indelebile nella definizione di indie da una parte all’altra del pianeta. C’è anche molta Italia, ma non è facile agganciare i riferimenti, se non a quel particolare momento storico che ha dato i natali a tutta una serie di nomi oggi ormai storicizzati e mai troppo chiaramente tirati in ballo dalla band. Il giudizio finale si stempera un po’ quando i ritmi scendono e si perdono per strada le bordate, ma sono solo piccole parentesi all’interno di un lavoro che segue una via ben precisa e si mantiene solido su un’intuizione personale e, a conti fatti, indovinata. Il solito consiglio di non esagerare con la teatralità delle vocals per non perdere incisività, ma nel complesso il gioco riesce e gli Hope You’re Fine Blondie ne escono a testa alta.