Homekilling Roma La Drona
La vita è come la scala del pollaio: corta e piena di merda.
Roma La Drona è uno di quegli eventi loschi (non a caso si svolge nel sotterraneo del Dal Verme) che, un po’ come il Thalassa, non a caso nella medesima location, vuole far capo a tutta una serie di particolari – e in questo caso problematiche – situazioni italiane.
Quella in questione riguarda la crescente ondata di noise&dolore rifiorita sotto i vessilli di Angst, che in pochissimo tempo ha ricucito i tessuti connettivi tra queste associazioni del terrorismo sonoro (Sincope, Second Sleep, Joy De Vivre).
Questo Homekilling Is Taping Music è dedicato alla seconda edizione del becero evento capitolino (festival ci pare inappropriato, in fondo non c’è proprio nulla da festeggiare), alle sue new entry e alle realtà (alcune nuove, vedi Cemento, Archivio Diafònico e Körper/Leib) che vi fanno capo.
Roma La Drona è alle porte. I suoi nemici pure.
VOGUE, S/t
Tra gli esordi di questa due giorni di disagio acustico ci sono i Vogue, duo emiliano-romagnolo nato nello stesso periodo della label Cemento Ind., che ha già sfornato due cassette di pregio delle quali vi racconteremo in un secondo momento. A capo di entrambe le realtà ci sono Carlo Aromando (cantante degli Hierophant) e Niccolò Cevenini, ed è un bene che a Bologna ci siano nuovi progetti con background lontani dalle triturate chiacchiere sul noise da centro sociale. Quello che propongono i Vogue è ricco di campionamenti che spaziano dal domestico al bizzarro, tra canzoni danzerecce, rumori riottosi, scontri di folla e voci imprecanti, ma riescono a dare una coesione forte al mix sonoro. Sotto c’è un harsh noise sciabordante che esce e rientra negli argini a spruzzi, una base vivace che non perde tuttavia le percentuali giuste di fastidio verso il prossimo. Le copie fisiche della cassetta verranno elargite sul posto, più freschi di così si muore. (Giulia A. Romanelli)
PRIMORJE, Pola Explorationen / Civil Music
La scena in orbita attorno al Codalunga mostra una nuova faccia sull’etichetta italiana Second Sleep grazie alla combo Civil Music – Pola-Explorationen a nome Primorje, duo formato da Matteo Castro e “Canedicoda” Giovanni Donadini. Se con altri progetti di Matteo (vedi Drug Age o in solo come Kam Hassah) siamo abituati a porte sbattute letteralmente in faccia e con Giovanni invece assistiamo spesso a un rumore più “educato”, qua la sensazione è di stare ascoltando qualcosa di relativamente nuovo persino per loro. Sarà per questo la scelta di un altro (e forse ennesimo) moniker, dato che sono già stati faccia a faccia con i rispettivi alias in Montagna (2008). Modus operandi diversi per due cassette che però sembrano una la protesi dell’altra. Mordace Pola-Explorationen, con i suoi loop esausti e una drum machine fatta a pezzi che in Civil Music invece diventa materiale per ecogrammi drone. Non impauritevi, però, qua si parla di uno zoccolo duro rodato direttamente sui timpani dei malcapitati di turno, siamo lontani quindi da fattanze post-prurientiane. Il beat (se c’è, e se c’è è di Donadini) è soltanto un punto morto o una una bolla d’aria intrappolata in una calotta di noise sordo. (Tommaso Gorelli)
UBIK, Frostbitten
Come uBiK, Marco Bonini (già ACRE, Mamavegas) ci rivela le forti implicazioni dick-iane nel suo modo di intendere musica elettronica e approccio “improvvisativo”, o meglio, “randomico”, anche se così sembra tutto un qualcosa di inevitabilmente più ludico. Da disordine a ordine segreto. L’uomo e lo strumento forniscono suoni alla macchina: il cervello elettronico, capace soltanto di dare risposte logiche, viene in un certo senso munito di un “arbitrio” (grazie a un programma che rielabora in modo casuale i dati), col quale può ricombinare il materiale ricevuto da Marco in nuove dialettiche timbriche. Mandare un codice fuori binario non significa per forza farlo deragliare. Con questa idea, probabilmente, parte l’excursus sui generis di Frostbitten. Otto brani col dono dell’ubiquità (e il gioco di parole è involontario), contemporaneamente in luoghi di genere diversi. Allargare il raggio d’azione significa determinare un maggiore numero di variabili, l’alea che si fa stocastica ma non per questo lirismo che si fa insensibilità, anzi. Tutto particolarmente chiaro nella verdeggiante “Quiet And Proud”, nell’alchimia drone/glitch/ballata folk “Stompbox Counterpoint” o nel trip hop accennato di “Tape Driver”.
Sì, però Marco dovrà pur suonare al Roma La Drona, evento già di per sé piuttosto marcio e doloroso, e qualche abbozzo di questo mood si può sentire in “V.i.t.r.i.o.l.”. Spero che orecchie smaliziate a sufficienza si lascino intrigare quanto me da questo ascolto. (Tommaso Gorelli)
DRUG AGE, Alphabet
Stando a quanto scritto nell’inlay di questa cassetta, che ho trovato di recente e con non poca sorpresa a Berlino, si tratta di una collaborazione via mail tra i due Drug Age Matteo Castro (numerosi i sui già citati progetti) e Francesco Tignola (con la tapelabel Joy de Vivre e Elisha Morningstar) e, considerate le distanze relativamente ampie entro le quali si muove il noise italiano, non è un dettaglio nuovo. Tuttavia specificare all’ascoltatore che si tratta di un lungo ping-pong di rumori inferociti che viaggiano sui rispettivi server mette tutto in una luce leggermente diversa. Un perpetuo cupo rombo da terremoto imminente fa da base a distorsioni carnali, acute, e a clangori lontani di metalli, per sfociare in incubo dimensionale dove i suoni si moltiplicano esponenzialmente in un secondo e si attorcigliano tra loro in una massa inestricabile ma nitida e compatta. Discese in acque “chete”, in una calma apparente, alternate a risalite frettolose sulle nubi più nere, dove circuiti liquidi e manipolazioni veloci con battiti pulsanti e stacchi netti danno all’insieme una progressione terribilmente ansiogena, nell’attesa di uno schianto imminente e indolore. (Giulia A. Romanelli)
BLOOD FEUD, AM Fields
Senza dubbio quelli di Napoli e dintorni sono tra i bassifondi più floridi per quel che riguarda il rumore. Si parte dalla Joy De Vivre, si passa alle sfumature più integerrime della parente di Viande, Toxo Records (le due etichette fanno rispettivamente capo ai due Aspec(t)) e infine s’arriva all’autismo venereo della Lips Infection. Archivio Diafònico in questo senso è l’ultimo nato da tutto questo “concime” sonoro e con le prime release vuole subito collocarsi all’interno della scena del delitto partenopea, sfruttando due nomi che hanno saputo ritagliarsi (con un coltello da macellaio, penso) già una discreta visibilità anche altrove.
Francesco Tignola è stato tra i primi a credere, e permettere, l’avanzata in Italia della nuova scuola del rumore scandinava (Sewer Election, Altar Of Flies, Blodvite), mentre Giuseppe Esposito ha già saputo inquinare a dovere l’ impro-noise (non dimentichiamoci a tal proposito del collettivo Imploded o ancora degli A Spirale) dei Weltraum e, meritatamente, come Blood Feud ha trovato spazio nella super-compilation italiota della Turgid Animal (Supreme Garbage). AM Fields è uno di quei nastri che se non fosse per il colore e la consistenza tipica della bobina sembrerebbe inciso direttamente su della carta vetrata. Assai più concreto di tanti colleghi che invece prediligono soprattutto filtri, distorsori e altra rumorabilia, Blood Feud va direttamente alla radice atonale dei suoni, come nella realtà accavallati gli uni sugli altri e che ci riportano a un vivere l’ascolto tutt’altro che quieto, anzi coercitivo. Altari di mosche per strade di periferia campane o un “Étude aux chemins de fer” per treni pronti a esplodere? (Tommaso Gorelli)
AUN / RAINBOW ISLAND
Prima uscita per la Körper/Leib di Aaron “Bitcoin” Rumore. Quello che può sembrare il testo a titolo informativo presente all’interno della cassetta è in realtà la copertina vera e propria. Rifiutare la voluttuosità di immagini piene soltanto di sentimentalismi a favore d’una pragmatica espressione legata soltanto al linguaggio? Forse, anche se di contro c’è da dire che la parola, di per sé, non secerne mai un significato preciso. Tutt’al più a quel significato, detto molto ermeticamente, si avvicina o tenta di farci luce intorno. La metafora è presto detta: il dover rompere un guscio di parole per arrivare al suo contenuto interiore (quello che poi davvero si fa al momento di aprire una custodia per ascoltarne il nastro). Certo che però, con descrizioni così precise, a noi rimane davvero poco altro da dire. Aun lo conosciamo nel bene, ma anche nel male di una dispersività che spesso gli fa cominciare più viaggi (cosmici?) di quanti ne possa concludere. La buona notizia è che da Alpha Heaven il passo sembra essersi accorciato. I diktat kosmische di “Segway Death” sono rincarati a suon di beat “occulteggianti” forniti da Mai Mai Mai, trip di spessore froese-iano per ottovolanti spaziali. Se gli altri quattro brani non fossero al confronto altro che delle piccole soste intergalattiche tra una corsa e l’altra, starei parlando probabilmente di uno dei migliori lavori del canadese, ma il buono di Martin Dumais è che non lesina mai seconde occasioni. Dalle astronavi alle zattere in bambù dei Rainbow Island. Il nome si è già fatto apprezzare al primo Thalassa e Road To Mirapuri per NO=FI dice tutto sul retaggio di questi quattro sgherri dei Black Dice, adepti dei Cromagnon On Orgasm, seguaci del naturismo Eden Ahbez-iano. Psichedelia per naufraghi a largo della Bongolandia a 8-bit dell’omonimo arcade. L’eroina non la trovi solo a Tahiti. (Tommaso Gorelli)
O’BL M.A.D.D., Bathing In Vasts Ov Amputated Genitalia
Reissue per Angst di una cassetta autoprodotta di Matteo M. (già Cruel Cadavre Exquis), datata 2006 e distribuita nel Regno Unito.
Un unico lungo capitolo diviso nei due lati, che da un’introduzione noise lisergica e immediata sfocia in un drone lentissimo ed estenuante, ma variegato nei rumori che s’impongono nitidi su una base monolitica, grave e cupa. Si sviluppa poi un tema acido sospeso nel vuoto, vibrante e instabile, falciato da distorsioni amplificate e da livelli che si accumulano a strati rarefatti. Un ottimo racconto altalenante di suoni cavernosi e umidi, lontani nel tempo, che lasciano squarci aperti dove il presente più disagiato e nevrotico può subdolamente insinuarsi. Una cassetta che rivendica più di altre il diritto di essere fruita con pazienza e attenzione, con l’idea di cogliere le differenze leggere tra una “Phase” e l’altra, cioè i lunghissimi capitoli di cui è composta. Un lavoro di quasi dieci anni fa (i social network non sbrodolavano le pallosissime noie quotidiane dei loro utenti e la musica si condivideva col mondo su Soulseek) che necessità ben più di un ascoltatore noise frettoloso di passare alla prossima traccia davanti allo schermo. (Giulia A. Romanelli)