HOLY GRAIL, Times Of Pride And Peril
Gli Holy Grail sono una delle formazioni più interessanti emerse dal movimento dell’heavy/speed metal di questi ultimi anni. Il loro primo album Crisis In Utopia rimane un esempio genuino della riscoperta di sonorità legate a una formula compositiva orientata sul dualismo tra vocals acute e passaggi chitarristici sostenuti, sulla falsariga di gruppi degli anni Ottanta come Malice o Helstar, ormai di culto. A distanza di cinque anni dall’esordio e dopo Ride The Void (tenuto più o meno sulle stesse coordinate stilistiche iniziali, lasciando comunque intravedere possibili evoluzioni), con Times Of Pride And Peril gli Holy Grail introducono importanti elementi di novità all’interno della loro musica: in particolare sono evidenti un approccio più diretto e un ventaglio di scelta più ampio per lo stile del cantato, tanto che in certe occasioni non si disdegna il ricorso allo screaming.
Si comincia con “Crystal King”, che vede James-Paul Luna cimentarsi con ottimi risultati su registri vocali altissimi. Il brano rappresenta l’andamento del resto dell’album, costruito sull’alternanza di tempi veloci e ritmati. Le successive “Waste Them All Away” e “Sudden Death” non lasciano infatti un attimo di respiro e si sviluppano su fraseggi di chitarra che intrecciano riff e assoli in rapida successione. L’andamento più compassato di “Those Who Will Remain” si rivela invece quanto mai efficace nel frenare, seppure momentaneamente, l’irruenza delle prime canzoni e a fornire un’interessante variazione sul tema rispetto alla parte iniziale del disco. L’apertura quasi death metal di “Descent Into The Maelstrom”, con in primo piano le chitarre di Eli Santana e Alex Lee a rincorrersi in modo frenetico su interscambi continui di partizioni ritmiche e soliste, conduce a un ritornello orecchiabile per quella che si rivela essere una delle tracce più interessanti. Il primo singolo pubblicato, “No More Heroes”, appare al contrario in sintonia perfetta coi precedenti lavori degli Holy Grail e getta anche la base di sviluppo per canzoni come “Psychomachia”, “Apotheosis” e “Pro Patria Mori”, che si caratterizzano per il dinamismo apportato dal cambiamento ricorrente delle tonalità vocali. La conclusiva “Black Lotus” è il pezzo più potente di tutti, inframezzato da passaggi incalzanti di basso e chitarra, con un finale in crescendo sottolineato da vocalizzi metalcore che ne aumentano a dismisura l’impatto e la drammaticità.
Tirando le somme, Times Of Pride And Peril è un disco che può essere diviso idealmente in due parti: la prima risalta per immediatezza e facilità di memorizzazione, la seconda richiede al contrario ascolti ripetuti perché si riescano ad assaporarne le singole differenti sfumature. Un album dunque più vario dei suoi predecessori e con il quale gli Holy Grail potranno ampliare il loro bacino di utenza, in quanto indirizzato non soltanto ai loro fan di lunga, ma anche a tutti quelli che non disdegnano una certa simbiosi tra l’heavy metal in linea con la tradizione e le sue tendenze più moderne, estreme nella fattispecie.