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HOLLY HERNDON, PROTO

HOLLY HERNDON, PROTO

Con Platform, nel 2015, Holly Herndon aveva probabilmente raggiunto l’ideale punto di raccordo tra avanguardia e forma-canzone aliena: ce n’eravamo accorti subito ma, col senno di poi, confermiamo che si tratta senz’altro di uno dei titoli da ricordare alla fine del decennio, non soltanto in ottica elettronica. PROTO, il suo terzo album (non contando cassette carbonare ed ep) pubblicato lo scorso maggio da 4AD, compie un ulteriore passo avanti nel campo delle fusioni con un’ipotesi di futuro, tanto che può dirsi una collaborazione con la piccola Intelligenza Artificiale chiamata Spawn, ospitata in un pc per videogame e plasmata assieme a Mat Dryhurst. Lungo la scaletta, composta da tredici brani, si procede così dalla sua nascita al suo ultimo respiro, da “Birth” a “The Last Gasp”. Il progetto era stato annunciato nel 2018 con il singolo “Godmother”, qui ripreso, dove Spawn parla attraverso la tribalista del footwork Jlin (il favore era stato contraccambiato con la partecipazione di Herndon al più recente lavoro di quest’ultima, Black Origami).

A risultare in fondo più interessante è il coraggioso accostamento di tutta questa ricerca volta alla science anti-fiction (che nella più melodica “Alienation” si avvicina a quanto ascoltato in Platform, mentre in “Eternal” fa ricorso a orchestrazioni e concetti di mind uploading) a un’altra ricerca, quella su mezzi espressivi dell’essere umano e sull’uso della voce, con il supporto di un ensemble contemporaneo berlinese e il ricorso a un background folk in senso lato, da leggersi come trasmissione di canti per via orale (dalla concisa e filo-gospel “Canaan”, che si pone in realtà come una lezione mistica sull’interpretazione dei suoni rivolta proprio a Spawn, alla corale “Frontier”, via via sconquassata dai beat). Nel primo caso non ci si discosta troppo da quanto sondato di recente nell’esordio degli italiani dTHEd, nel secondo la memoria potrebbe volare a Medúlla di Björk.

Lo scopo della musicista statunitense, d’altronde, è quello di rendere la tecnologia meno disumana e, cosa ancor più importante, meno disumanizzante. Il protocollo della geniale Herndon mira al cuore delle macchine, sintetico ma pur sempre un cuore (in elaborazione). Se PROTO fosse un film, sarebbe allora “Arrival” di Denis Villeneuve, concentrato com’è sul raggiungimento di un dialogo fra differenti forme di vita. È invece un disco meno a fuoco del suo predecessore, quasi partorito in una fregola incontenibile eppure estremamente cosciente di sperimentazione, che getta nuovi semi per sviluppi a venire, in laboratorio, in cuffia e nella nostra everyday life.