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HOLÈG, La Chessa

holeg

Quando si pensa a una one-man band si è portati a immaginare che suoni blues, magari country o folk, di certo la mente vaga lontana dalle coordinate metal, men che meno thrash. Eppure Holèg, progetto di Zieka, voce e chitarra nel duo Clover di cui abbiamo spesso parlato, sembra guardare dritto alla Bay Area quando trita riff in solitaria, seppure con modalità e suoni ben più caustici e ruvidi, quasi noise nel loro lacerare la carne senza troppa gentilezza. Si lascino per un attimo da parte tecnicismo e rifiniture da studio per concentrarsi sulle strutture e sulla costruzione di questi dieci brani al fulmicotone e si scoprirà come l’universo di riferimento sia appunto quello thrash, spogliato di tutto ciò che ne nasconde i punti di contatto con il punk e suonato in presa diretta da un musicista che vuole testare la propria umana resistenza. La voce, poi, altrettanto ruvida e guidata dalla foga di un cinghiale in carica, chiude il cerchio e fa la sua parte nell’offrire all’ascoltatore un disco che non si proclama “strambo”, ma lo è nella maniera più genuina e sincera, inconcludente per indole come i suoi testi da riempire di significato a piacere, frettoloso come la gatta dai figli ciechi e tutto sommato poco interessato a ricevere complimenti. Va da sé che La Chessa risulta irresistibile e irrinunciabile proprio per quanto appena detto, come il toga party di Animal House, l’azione futile per eccellenza nella storia del cinema e forse dell’umanità. Holèg si rivolge a chi sa apprezzare questa filosofia di vita, ai duri pronti a scendere in campo e a chi non rinuncia a fare headbanging ad un concerto degli Unsane, magari anche un bel circle-pit da manuale. Il significato sta tutto qui, nell’idea che un giorno Chris Spencer abbia deciso di suonare thrash old-school al netto di assoli e virtuosismi onanistici. Potete pensare a qualcosa di più sublime e al contempo insensato?