HIGH AURA’D, John Kolodij
High Aura’d è il nom de plume di John Kolodij, chitarrista americano che ha vissuto a Boston e ora sta nel Rhode Island, dove ha già abitato e dove c’è stata una scena ben nota in questi anni. La storia la conosciamo: suonava in una band e a un dato momento ha deciso di cimentarsi con qualcosa di più sperimentale, sostanzialmente piegando in chiave ambientale e noise il suono del proprio strumento. Non sfuggirà a nessuno come la concorrenza sia molto numerosa e le orecchie disposte a sentire queste musiche non siano poi così tante, quindi quanto difficile sia farsi notare e andare avanti. Il percorso di John, oggi, sembra altrettanto codificato: tante piccole uscite, su cd-r ma anche sulle cassette (ormai risorte in gloria), poi l’occasione del full length, magari, come in questo caso, giocata sul vinile in edizione limitata, col digitale pronto subito per tutti gli altri. Nel caso di Kolodij è stata Bathetic Records a fare la scommessa e John Twells (proprio Xela, il fondatore di Type Records) ad aiutare a dar forma a Sanguine Futures (2012), un disco segnato, come da copione, da profondi drone chitarristici, quasi isolazionisti e spesso molto fisici, accompagnati da field recordings e al servizio di storie inquietanti, come quella della “vampira” Mercy Brown. John conosce tutti i trucchi del mestiere, quindi è in grado di dare pennellate più chiare, quasi enoiane, sa bene cos’è un crescendo (sentire come si espandono le mistiche “Sleep Like The Dead” e “La Chasse Galerie”) e prova anche a variare la ricetta (la chiusura notturna di “Methodist Bells” e il suo pianoforte).
Di quest’anno è lo split con Reuben Sawyer, che compare a nome Blood Bright Star con un pezzo molto (troppo) simile a Horseback e che cura lo splendido artwork del vinile (lui è anche noto come Rainbath Visual, sua di recente la copertina del disco di Agarttha). Kolodij, invece, torna sui crescendo: il suo pezzo, dal titolo significativo “Remain In Light”, inizia con la pioggia, ma alla fine il cielo si apre in maniera commovente. Non è un caso, dunque, la presenza femminile di Glenna Kay Van Nostrand (Omnivore, guarda caso da Providence): di lei possiamo sentire i vocalizzi eterei e luminosi fusi con le tessiture sonore di High Aura’d, in un brano che ancora una volta ci solleva lentamente da terra.
Per ora tanti live con gente di rilievo e collaborazioni importanti, ma adesso bisogna vedere se questo progetto saprà salire ancora qualche gradino, in un periodo in cui il genere ha già raggiunto la saturazione. Siamo andati a sentire direttamente John per capire qualcosa di più. È stato piuttosto sulle sue, ma non si può dire che non abbia voluto dare una mano a inquadrare il suo sound.
Tieni presente che l’inglese non è la nostra lingua. Perché High Aura’d?
John Kolodij: Un nome è solo un nome, qualcosa di cui bearsi o dietro cui nascondersi, giusto?
Non lo so, mi piace perdermi nei nomi delle band e nelle copertine dei dischi, anche se sono cosciente che la musica sia quello che conta. Quindi perché non solo John Kolodij?
Non c’è da perdersi in John Kolodij, mentre l’idea di High Aura’d, beh, è solo un’idea a cui tirare di tutto e poi vedere cosa rimane attaccato.
Ho letto che suonavi in delle band. Perché hai deciso di stare da solo con chitarra, effetti e qualche eventuale ospite?
Avevo bisogno di tempo per sviluppare solo i suoni che mi piacevano e sui quali stavo meditando.
E sviluppare i suoni che ti piacevano ti ha anche portato in posti nuovi o High Aura’d è proprio dove avevi deciso di andare fin da subito?
Vorrei pensare di essere riuscito a distillare meglio quello che stavo cercando e ciò che volevo evocare.
Sembra che tu sia coinvolto in Spectral Rehab. Spectral Rehab organizza concerti a Boston. Tutto ambient e musica sperimentale. Funziona? Come vanno le cose? Boston deve avere un sacco di student potenzialmente interessati a queste cose.
Al momento è tutto sospeso, dato che ho traslocato nella parte sud di Rhode Island. È stato meraviglioso e frustrante. È dura essere in grado di far arrivare la musica alla gente, ma non di supportare finanziariamente in modo adeguato gli artisti.
Che cosa mi puoi dire di John Twells e della tua collaborazione con lui? Gestisce Type Records, una grandiosa etichetta ambient (e non solo)… apprezzo molto le sue uscite.
John è un uomo meraviglioso. Anche io amo Type e sono felice di aver lavorato insieme a lui, tra l’altro stiamo forse per pubblicare nuove cose.
Ho iniziato dal tuo split album con Reuben Sawyer (Rainbath Visuals). La sua traccia mi ricorda molto Horseback. Ho sempre pensato che Jenks Miller (Horseback) abbia un fratello maggiore: Dylan Carlson. Che cosa senti di avere in comune con un progetto come Earth?
Lo amo.
Ne ero sicuro, John. Però non direi che Carlson sia il tuo fratello maggiore. Penso che tu non sia così facilmente definibile, anche se credo di capire cosa stai suonando. Chi altro, oltre a Dylan, ha influenzato il tuo approccio alla chitarra? Domanda da un milione di dollari, ma dacci qualche indizio.
Direi, senza nessun ordine particolare: Kevin Shields, Bill Frisell, Loren Connors, Neil Young, il batterista dei Dirty Three Jim White, Scott Reber (Work/Death), John Fahey, Slayer, Fennesz.
Grazie allo split ho scoperto Omnivore. Per certi versi ti somiglia, perché usa la tecnologia allo scopo di essere un’efficiente one man band. Questo aspetto ti ha affascinato? O cos’altro?
Glenna è fantastica. Una voce davvero pura.
Bathetic Records ha scritto che Sanguine Futures vede delle somiglianze con Thomas Köner, sound artist molto difficile da approcciare, un po’ come Francisco López. Ti sono famigliari questi sperimentatori che esplorano il mondo delle basse frequenze e il silenzio? Il tuo usare field recordings lo hai preso da queste persone?
Amo i field recordings e Thomas Köner. Le basse frequenze fanno sempre per me. È stato Alan Lomax a farmi scoprire i field recordings, comunque.
Le basse frequenze fanno sempre anche per il sottoscritto. Non solamente per il loro essere cupe. Mi affascina la loro profondità, come creano spazio intorno a me o anche come in certi dischi rendano così fisico il sound. Nel tuo caso, invece?
Ho provato a migliorarmi seriamente nel saper dare un aspetto più fisico alle mie performance live, e si tratta di qualcosa che cerco anche su disco.
Il tuo sound è ambiguo come si legge in molte recensioni? Nel caso di Sanguine Futures in molti hanno notato che sai spaventare, ma sai essere anche più etereo. Se leggiamo i titoli dei pezzi, però, sembra che tu sia interessato di più a storie “dark”.
Le storie dark sono quelle che mi prendono di più. Le trovo incantevoli.
Ti confesso che conosco Bathetic Records solo perché ci siete tu e i Kwaidan. Puoi parlare un po’ di quest’etichetta ai nostri lettori italiani? Facciamo passaparola…
Bathetic Records sta espandendo i confini di ciò che un’etichetta moderna può essere, come Touch & Go e Matador hanno fatto prima.
Hai pubblicato un full length, artisti bravissimi collaborano con te (Twells, Plotkin, Simon Fowler) e sei stato in tour con band molto interessanti (Sutekh Hexen, Barn Owl). Che altro desideri per te stesso come musicista?
Solo continuare a fare quello che faccio, e che ci sia gente che apprezzi, ove possibile. Comunicare a tutti ancora meglio ciò che penso/ascolto.