HIDE VINCENT, Hide Vincent
Un piacevole (e quanto mai opportuno in questi giorni invernali) tepore si sprigiona dal nuovo disco omonimo di Hide Vincent. Il cantautore campano, classe ’93, a quattro anni dal demo autoprodotto Imperfection, torna con un più che dignitoso lavoro indie/folk che viaggia su coordinate care a Damien Rice, ripescando spesso, soprattutto sul versante vocale della faccenda, slanci e patemi memori del buon vecchio Jeff Buckley. Formula elegante ma sostanziosa quella di Hide Vincent, a base di voce, batteria, chitarra e violoncello (che ricorda vecchie cose dei Perturbazione), che alterna con un buon equilibrio comodità da pop da camera e escursioni in atmosfere autunnali, leggerezze pensose ed exploit di spassionato pathos cantautorale. Una prova di una certa maturità, che sconta probabilmente una troppo marcata aderenza ai canoni di riferimento e che tende a variare troppo poco le scelte melodiche utilizzate nel corso dei quaranta minuti registrati, ma che d’altra parte non manca di lasciare un segno grazie al buon gusto degli arrangiamenti e alla naturalezza con cui l’artista infonde intensità emotiva nei vari pezzi. Da tenere d’occhio (e nel frattempo prendetevi un plaid).
Tracklist
01. Father
02. Blood Houses
03. Things I Did Today
04. White Sun
05. Black Poetry
06. Crave
07. Only Knew That You Were Thirsty
08. Delicate
09. A Time Before The End
10. Yellow Lights And Blue Seas