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HEROIN IN TAHITI, Sun And Violence

Heroin-In-Tahiti1

Cambio di rotta per il duo De Figuereido/Mattioli. Se ne aveva sentore già dalla cassetta dello scorso anno, Canicola, che era in pratica la base preparatoria per questo doppio lp. Fate conto di ascoltare/vedere una sorta di colorato e mesmerico film musicale, con pezzi che sono a sé stanti (la lunga e criptica “Continuous Monument”, forse la traccia più importante del disco, straniante e condita di speziati disturbi elettronici) e lacerti di suono (manipolato e plasmato a dovere) che servono a collegare il tutto e a fare “atmosfera” (“Absit Omen”), ma di lavoro comunque unitario trattasi. I titoli di apertura erano stati degnamente rappresentati da “Salting Carthago” (inesorabile e drogato “saltarello” con chitarra twang, ormai loro trademark), mentre lungo la strada ci si imbatte nell’aliena “Wireless Telegraphy Mirage”, e la propensione a mettere su delle accaldate composizioni pop continua con “Zatlath Aithas”, come un Muslimgauze tarantolato. “Spinalonga” sembra lavorare sul concetto di nostalgia e, non so bene perché, mi ha ricordato pure quella cosa tutta mediterranea chiamata “controra” (il primo pomeriggio, fase della giornata che di solito si associa al riposo per via della estrema calura). “Arena” fa invece il gioco della citazione scoperta, quelle voci dal passato catturate dall’etnomusicologo Diego Carpitella (figura ispiratrice del disco). Il cerchio, insomma, si allarga e restringe improvvisamente, come in un continuo gioco di “zoom”, e netta rimane la voglia di provare a modificare/deformare sempre il proprio canovaccio, tanto forte è la necessità di far tornare a galla eredità e suggestioni culturali quasi dimenticate, sostanziate in un lavoro per niente conciliatorio, ma espanso ed ammaliante, tipicamente Heroin In Tahiti. Il discorso generale dei due ora funziona meglio, va sottolineato, ma nonostante le melodie assassine che contiene, Sun And Violence rimane pubblicazione ostica, alla quale approcciarsi con estrema circospezione.