HEROIN IN TAHITI, Casilina Tapes 2010│2017
Il quinto quarto indica tutto ciò che non è compreso nei quattro quarti in cui sono sezionati gli animali durante la macellazione: interiora, cervella, coda, zampe. Prima di essere scoperto dall’alta cucina, da gourmet e patiti dello street food, il quinto quarto veniva considerato il cibo delle persone meno abbienti, era lo scarto che veniva regalato ai lavoratori del mattatoio. Alcuni dei piatti più straordinari della tradizione culinaria romanesca sono basati sulle parti meno nobili del bestiame: rigatoni con la pajata, coda alla vaccinara, coratella coi carciofi, animelle fritte. Ecco, mi piace pensare a questo Casilina Tapes come il quinto quarto della produzione degli Heroin In Tahiti: guarda caso è il loro quinto album (teniamo fuori dal conto lo split con Ensemble Economique del 2013, peraltro un lavoro estremamente affascinante).
Il disco contiene undici tracce messe in sequenza da paròn Onga di Boring Machines, scarto della lavorazione dei dischi pubblicati dal duo romano: alcune addirittura risalenti al 2010, due anni prima che gli Heroin In Tahiti cominciassero a lasciare traccia di sé. Molti dei pezzi qui contenuti ricalcano i consueti stilemi (le chitarre twangy, i bordoni arroventati, i riferimenti alla stagione d’oro delle sonorizzazioni, gli ammiccamenti esotici): la partenza riserva poche sorprese, con i primi due episodi che viaggiano lungo il solco del già sentito, tra la surf music mortifera, ma qui dolciastra, di “Aco Ione” (sic!) e la devozione morriconiana di “Bad Auspicia”. Passando alla facciata B, più o meno stesso discorso per “Ziggurat Tempesta” e la traccia finale “Ad Duas Lauros”, chitarre liquide nell’una, batteria catchy nell’altra, entrambe abbastanza torride da cagionare secchezza delle fauci e miraggi come effetti collaterali. Tutto bene, ma è ancora poco: sono i restanti out-take a giustificare l’acquisto del disco, brani in cui il suono degli Heroin In Tahiti prende pieghe insolite, un’evoluzione di concetti a malapena abbozzati fra i solchi della loro precedente discografia. In “Veltha In C23” l’incontro fra ronzii, suoni sintetici e l’armonica (probabilmente sintetica anch’essa) potrebbe essere benissimo la colonna sonora per un film di fantascienza girato da Duccio Tessari, nella successiva, “Larentalia” de Figueiredo e Mattioli mettono dentro tanta roba (il theremin, il flauto, la tromba, reminiscenze dub) mentre provano vagamente a fare il verso al Miles Davis di “On The Corner”. “Holy GRA Reversed” si rifà a Terry Riley diventando strada facendo materiale per sonorizzazioni, “Lago Finto” si muove sempre nell’ambito del minimalismo, a cui questa volta viene dato un taglio quasi impressionista; brevemente psichedelica – un trip da oppiacei in aperta campagna – è “A Tergo Lupi”, la acida e ondivaga “Steve Tamburo Is Not Dead” sembrerebbe invece un omaggio all’adorato Stefano Tamburini. A completare il pantheon degli Heroin In Tahiti è “Illamorip”, dedicata ad Aldo Piromalli, personaggio di culto della Roma off che già aveva fatto capolino in altri loro pezzi (la sua voce chiudeva il precedente lavoro Remoria ed è anche nell’incipit di “Bad Auspicia”, qui contenuta): qui il classico sound degli Heroin In Tahiti viene manipolato, ridotto a brandelli e quindi cucito attorno ai versi del poeta del Tufello.
La vicenda dell’Italian Occult Psychedelia sembra, da più punti di vista, arrivata agli sgoccioli e gli Heroin In Tahiti, fra gli esponenti più riconosciuti e apprezzati del filone, sembrano voler partecipare al processo di disfacimento in atto: nella press release adombrano infatti la possibilità che questa sia la loro ultima pubblicazione. Noi ovviamente ci auguriamo di averne ancora, visto che, anche a giudicare dalle ulteriori sfaccettature sonore portate alla luce da questa raccolta di inediti, carne da mettere al fuoco ce n’è, sia essa filetto o coratella poco conta.