Helium Horse Fly: combatterai il fuoco col fuoco o starai seduto lì a bruciare?
Io avevo un’ipotesi, ma mi pareva quella classica, molto avvilente, del nerd convinto che tutti debbano per forza ascoltare uno di quei gruppi che in realtà conosce solo lui: secondo me i belgi Helium Horse Fly assomigliavano ai norvegesi Ved Buens Ende (una band con dentro gente che suonava o avrebbe suonato con Dødheimsgard, Satyricon, Ulver, Aura Noir e Virus), ma non c’era nulla in rete a confermarlo, a parte il mio orecchio e quello di un altro paio di navigatori. Incredibilmente, ci ho preso. Sì, perché il loro chitarrista Stéphane Dupont durante l’intervista che segue si dice grande fan dei Virus: del resto Hollowed, secondo album della sua band, è uno strano incrocio tra matrice estrema, noise-rock e strutture che prendono dal jazz e dal prog, lo stesso tentato dai Ved Buens Ende e poi dai Virus, un modo di pensare i brani che – al netto del black metal – è anche quello dei Dødheimsgard. Precisato questo, Marie Billy, che sembra un po’ una delle donne fatali lynchiane, grazie alla sua voce molto pulita ed elegante è la prima, grossa differenza tra gli Helium Horse Fly e i loro fratelli maggiori norvegesi. Hollowed, poi, rispetto all’esordio del gruppo, che era più violento, attraversa persino fasi di silenzio, dimesse, interrotte quasi solo dalle parole di Marie: è un album con un’atmosfera noir che trasmette spesso disillusione, uno stato d’animo che il gruppo cerca poi di contrastare con parti aggressive. “Silenzio-esplosione” non è comunque uno schema fisso, perché non uno dei sei pezzi del disco ha la stessa struttura o la stessa durata (si va dai due minuti e mezzo dell’episodio acustico “Shelter” ai quattordici di “In A Deathless Spell”), mentre tutti hanno qualche segno particolare: “Happiness”, ad esempio, nella quale si usa molto bene il trucco tensione-rilascio, inizia godfleshiana e termina con un sax.
Sono molto bravi, anche tecnicamente, sono attenti agli aspetti testuali e visivi (che hanno in comune una buona dose di surrealismo) e hanno scelto di essere degli irregolari: diamo loro una chance.
Avete iniziato nel 2009. Il vostro primo full length è uscito nel 2013. Cinque-sei anni dopo siete qui col vostro secondo full length. Preferite prendervi del tempo o siete rallentati dai vostri lavori, da altri progetti (e così via)?
Stéphane Dupont (chitarre): Il primo full length è arrivato nel 2013, ma avevamo già pubblicato due ep (quasi dei full) nel 2010 e nel 2011, quindi non va così male! Però, sì, Hollowed è uscito cinque anni e qualcosina dopo il nostro album eponimo. Non è che ci siamo presi pause o che altre cose della vita ci hanno rallentato. A inizio 2014, pochi mesi dopo il primo disco, ci siamo separati dal nostro batterista e Gil Chevigné si è unito a noi. Abbiamo iniziato a lavorare su Hollowed nell’estate del 2014. A fine 2015 l’album era scritto e stavamo entrando in studio. Abbiamo registrato batteria e basso subito dopo Natale 2015. Poi ci siamo presi il nostro tempo per ciò che rimaneva – la prima volta che lo abbiamo fatto! È stato molto comodo! – e finito chitarre, voce e mixing durante la prima metà del 2016. A settembre il disco era finito. Poi abbiamo iniziato a cercare una etichetta e una di queste, molto ben conosciuta nel nostro giro, ci ha scritturato. Poi ci ha fatto aspettare. E aspettare. E aspettare. Poi ci ha mollato. Abbiamo perso due anni. Così, dopo due anni dolorosi d’attesa, abbiamo deciso di pubblicare il disco tramite la nostra piccola etichetta Dipole Experiment Records. Aggiungi qualche mese per pianificare l’uscita e la promozione e sì, siamo nel 2019. È stata dura perdere tutto questo tempo, ma abbiamo la bizzarra sensazione che ora sia il momento giusto per uscire.
C’è una scena underground a Liegi? Ne fate parte? Nel corso degli ultimi anni ho seguito un po’ la scena belga, ad esempio l’etichetta Consouling Sounds, ma loro sono di Gand.
Ci sono molte band a Liegi e in Belgio, così come una scena underground. Però non sappiamo se ci siano band nella nostra stessa scena “avant-garde”. I gruppi ai quali ci sentiamo vicini sono spesso nordeuropei o statunitensi. O magari non ci rendiamo conto che ci sono grandi band intorno a noi, ad esempio nelle Fiandre. Non conosco Consouling Sounds, ma ci darò un’occhiata dopo quest’intervista.
Il vostro album eponimo e Hollowed hanno una copertina surrealista in comune. Mossa consapevole? Perché?
Sin dall’inizio, anche nei nostri primi ep, avevamo questo gusto per testi surrealisti e per scene bizzarre che accadevano in posti non familiari. Quindi le due immagini utilizzate per gli album esercitavano un fascino naturale su di noi ed erano coerenti con le canzoni che avevamo scritto.
Mi piacciono gli album con un sound specifico dall’inizio alla fine. Non sono interessato a una raccolta di singoli, per così dire. Hollowed ha i suoi colori e non li cambia. Aggiunge solo sfumature diverse, come il sax in “Happiness” o la chitarra acustica in “Shelter”. Che album avevate in mente componendo Hollowed, sempre se ne avevate qualcuno?
Non avevo uno specifico album in mente quando scrivevo le canzoni, ed è sempre difficile capire che album ti influenzano quando scrivi qualcosa. Per me il processo di scrittura è sempre tentare di non essere troppo cerebrali e non avere già qualcosa di predeterminato in testa (un genere, una lunghezza, un mood…), ma – al contrario – lasciar entrare le idee e seguire il loro corso naturale e vedere dove ti portano. Qualche volta questo conduce a canzoni brevi e tranquille, altre a pezzi di quattordici minuti con un sacco di cose che succedono. Tutto è sempre influenzato da molte cose, ma è difficile capire quali esattamente. Però ti nomino un po’ di dischi che ho molto amato e ascoltato quando lavoravamo sul nostro: Wars Of The Roses degli Ulver, Hubardo dei Kayo Dot, Lowgazers dei Plebeian Grandstand, Brossaklitt dei Poil e Flashlight Seasons dei Gravenhurst.
Durante le scorse settimane “Happiness”, il brano che apre l’album, è stata usata come “appetizer” in attesa del disco intero. Perché l’avete scelta?
Per tante ragioni. Anzitutto è l’opener, quindi questo significa che già l’avevamo pensata come una buona presentazione del disco. Poi c’è anche il fatto che è il pezzo con l’approccio più diretto ed è più breve degli altri. Un’altra ragione è che ci piace il senso di tensione e di ansia che induce, e quella specie di dicotomia tra il suo titolo e ciò di cui parla. Inoltre “felicità”non è proprio il termine che uno userebbe descrivendo la musica che facciamo, quindi l’idea ci è piaciuta ancora di più!
Dipende da me o il vostro primo album è più rabbioso di Hollowed? Anche Marie Billy, la vostra cantante, sembra esserlo: nel vostro esordio a volte riesce a urlare sopra le chitarre, mentre in Hollowed canta quando gli altri strumenti sono in silenzio…
È così! Come ho detto, noi lavoriamo vedendo dove ci portano le idee che scegliamo di seguire. Questa volta tutte le idee che sono arrivate non erano arrabbiate mentre ci raccontavano la loro storia. C’è ancora violenza, forse più che nel disco precedente, ma sta in elementi di contorno, o in pensieri astratti, ma non ha mai una voce. Una conseguenza diretta è che i passaggi appunto violenti sono quasi tutti strumentali, mentre Marie mitiga la sua voce più che in passato. Non l’avevamo pianificato e, visto retrospettivamente, ci piace molto.
Vorrei parlare anche del tuo suono di chitarra… quando ho ascoltato per la prima volta Hollowed, ho pensato in automatico ai Ved Buens Ende. Incredibilmente, qualcuno sul vostro Bandcamp ha commentato il vostro esordio nominando gli Ephel Duath. Entrambe sono band metal estreme che hanno adottato strutture prog e jazz. Sempre più incredibilmente, qualcuno ha creato una lista di band “avant metal” su Rate Your Music e vi ha incluso, assieme a Ved Buens Ende ed Ephel Duath… Ho trovato i vostri fratelli segreti o ascoltate questo genere di roba?
Ho un album dei Ved Buens Ende che mi piace molto e lo ascolto di tanto in tanto, ma la band di Czral (Carl-Michael Eide, batterista e chitarrista norvegese, fondatore dei Ved Buens Ende, ndr) che ho ascoltato davvero molto sono i Virus, successivi ai Ved Buens Ende. La creatività chitarristica nei Virus è fuori dal mondo, e lui è forse uno dei miei chitarristi preferiti di sempre. Non so molto sugli Ephel Duath, li conosco i nome. Una scena a cui ci sentiamo vicini è quella avant-garde degli Stati Uniti, specialmente i progetti di Toby Driver (Kayo Dot, Maudlin Of The Well) e quelli di Charlie Looker (Extra Life, Psalm Zero). Abbiamo avuto la possibilità di dividere il palco proprio con i Kayo Dot qualche anno fa e siamo in contatto con loro d quella volta. Il release show di Hollowed, invece, sarà con Charlie Looker. Questo mi gasa!
I vostri dischi lasciano immaginare un gran live show. State organizzando un tour? C’è qualche possibilità di vedervi dal vivo a qualche festival europeo?
Ci piacerebbe, ma al momento nulla è pianificato. Nei due anni di “fermo” in attesa che uscisse l’album, abbiamo però registrato in studio, con cinque o sei telecamere, versioni live dei pezzi di Hollowed. Questi “live in studio” usciranno a febbraio. Cercali sul nostro sito o sul nostro canale YouTube. Non sono dal vivo, ma è un modo per immaginare come suonano le nostre canzoni in quella situazione!