HELICON, God Intentions
Gli Helicon di Glasgow parlano la lingua dello shoegaze e della psichedelia, con voci diafane che scompaiono dietro alle coltri di chitarre, muri di suono e ritmi ipnotici. Difatti non è un caso che il terzo album della formazione scozzese sia passato dalle mani di Mark Gardener dei Ride, ma gli Helicon ammoniscono che si tratta anche di musica sperimentale: l’incipit di “Flume” tradisce subito la vicinanza ai Brian Jonestwon Massacre altezza “Methodrone” e la presenza della violoncellista Sotho Houle nella successiva “Chateau H” causa un balzo avanti, verso territori space-rock. Più o meno queste le coordinate su cui si muove il disco, tra shoegaze e suite psych appunto, con violoncelli e sitar. Tuttavia God Intentions si avviluppa presto su canzoni non molto efficaci e dalla lunghezza spropositata, non permettendo né al lato “pop” né a quello “sperimentale” di emergere davvero, apparendo auto-referenziale e a tratti fuori tempo massimo. Nota di merito è la presenza di Lavinia Blackwell dei Trembling Bells: il pensiero corre al freak-rock dell’ormai defunta band scozzese, che manca davvero tanto.