Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

HEISENBERG QUINTET, Live At Kühlspot

HEISENBERG QUINTET, Live At Kühlspot

Elusivo e introverso (fino a sfociare in una a volte malcelata incertezza) Live At Kühlspot dell’Heisenberg Quintet, formazione che annovera al suo interno membri attivi della scena dell’improvvisazione berlinese: Anna Kaluza al sax alto, Nikolai Meinhold al piano, Hannes Bruder alla chitarra, Stephan Breier al contrabbasso e Rui Faustino alla batteria. Tre lunghi movimenti tra stasi zen, forme aperte, jazz informalissimo, dinamiche tra il piano e il pianissimo e un constante senso di attesa in nero capace solo a tratti di avvincere, in un lungo aspettare l’arrivo dei tartari dal deserto, come nel racconto di Buzzati. In alcuni frangenti troppo “bianco” e riduzionista per il mio orecchio (una via tedesca all’onkyo-jazz ?), ma comunque interessante, perché lontano da certi risaputi fragori, in bilico perenne tra vuoto, elevazione, precipizio e alienazione, quasi – appunto – orientale nel suo essere riservato e misurato. Va comunque detto che questa è musica che vive il suo momento più significativo durante un concerto e non nella performance registrata: a volte i musicisti si perdono in conversazioni che paiono dimenticare l’argomento principale, ammesso ve ne sia uno, per scivolare nel pour parler. Fossimo stati al Kühlspot di Berlino il 18 febbraio di un anno fa, probabilmente ci saremmo divertiti di più, ma a dirla tutta non si avverte la reale necessità del disco. Un flusso di coscienza libero e svagato che soffre del suo restare in medias res e non sempre accoglie chi ascolta né lo respinge con armi abbastanza affilate da invogliare a cimentarsi di nuovo nell’ascolto.