HEADCRASHER, Roby Vitari
La ristampa di Nothing Will Remain degli Headcrasher a opera della Punishment 18 ci fornisce l’occasione per ripercorrere insieme al batterista Roby Vitari la storia di un nome storico della scena metal italiana e magari incuriosire chi all’epoca, per un motivo o per l’altro, non ha avuto modo di apprezzare questa mazzata di speed/thrash che non aveva davvero nulla da invidiare a tanti concorrenti made in USA. Vedremo se, oltre al nuovo brano presente nella ristampa, questo sarà il presupposto per un ritorno a pieno regime.
Ciao, innanzitutto parliamo di come è nata la tua passione per la batteria e per il metal. Cosa ricordi di quel periodo e soprattutto di come si viveva il metal in una città come Cosenza, distante dal centro degli eventi se mi passi il termine, prima dell’era di internet.
Roby Vitari (batteria): Ciao e innanzitutto grazie infinite per l’interesse e il supporto! La mia passione per il metal nacque all’età di 13 anni (nel 1980), quando iniziai ad avvicinarmi alla batteria e alla musica rock in generale (Zappa, Saxon, Michael Schenker, Blue Öyster Cult, Deep Purple, Led Zeppelin…). Cosenza a quei tempi era totalmente priva di cultura musicale metal e conseguentemente di scena locale. Negli anni a seguire, però, le cose sono cambiate rapidamente. Gli appassionati di rock, metal, punk e derivazioni, erano veramente in pochi e ci si poteva contare sulle dita di una mano.
A quei tempi, a parte il classico negoziante di fiducia, i nuovi suoni viaggiavano grazie alle ‘zine e al tape-trading, a meno che qualche amico più grande non ti passasse qualche dritta. Quale era il tuo metodo per tenerti aggiornato?
Nella tua domanda c’è già parte della risposta, in zona avevamo un paio di negozi di dischi in cui capitavano saltuariamente dei vinili interessanti e il passaparola e la duplicazione su cassetta erano l’unico metodo di diffusione.
Io acquistavo molto anche tramite posta da negozi del Nord Italia dopo aver letto recensioni interessanti sui (pochi) media nazionali (Rockerilla, Mucchio Selvaggio e, successivamente, HM e Metal Shock) e internazionali (Kerrang!, Raw, Metal Hammer…). Eravamo nell’età della pietra, rispetto ad oggi.
A un certo punto tu e Claudio avete deciso di spostarvi a Torino, come mai avete scelto proprio quella città, avevate già contatti con la scena locale?
Mio padre viveva a Torino già da anni e dopo l’uscita di Nothing Will Remain (1990) la scelta di muoverci fu quasi automatica per esplorare nuovi orizzonti e creare nuove connessioni nella città che a quei tempi, in Italia, rappresentava al meglio la cultura rock underground.
Nel 1990, avete appunto dato alle stampe Nothing Will Remain, un pilastro del metal italiano che vi ha dato l’opportunità di consolidare la vostra fama e far conoscere il vostro nome anche al di fuori dei confini italiani. Comprese alcune date decisamente importanti e la possibilità di trasferirvi per un periodo a San Francisco, giusto?
Grazie per la considerazione, Nothing Will Remain fu realizzato nella nostra base cosentina agli inizi del 1990, prima del trasferimento a Torino. Poco dopo l’uscita del disco ci muovemmo, e da lì a breve (dopo un cambio sostanziale di line-up) tentammo la carta di San Francisco, dove avevo alcuni amici del giro musicale. Dopo un periodo in California, rientrammo alla base a Torino e accettammo la proposta dalla Dracma Records per la realizzazione del secondo album Introspection.
Come è nata l’idea di ristampare il disco e come siete entrati in contatto con la Punishment 18?
La Punishment 18 Records è stata per più di due anni l’etichetta della mia attuale band Mindwars (con il chitarrista Mike Alvord, ex Holy Terror) per la realizzazione dei primi due dischi The Enemy Within e Sworn To Secrecy. Ci siamo trovati molto bene con loro e quando hanno dimostrato interesse nella possibile ristampa Headcrasher, nonostante ci fosse anche quello di altre due label (una statunitense e una greca), abbiamo ritenuto giusto collaborare ancora una volta con gente seria e professionale. L’idea della ristampa è venuta fuori dal fatto che Nothing Will Remain nel 1990 fu realizzato solo in vinile, in quanto il compact disc ancora praticamente non esisteva. Oggi va di moda riportare su vinile i cd di qualche anno fa per dargli un tocco più vintage e da collezione ma, ai tempi di Nothing Will Remmain, il cd non esisteva ancora per cui ci sembrava giusto dopo anni rimodernarlo e invertire la moda!
Riascoltandolo oggi, l’album si dimostra in grado di competere con molti suoi blasonati colleghi esteri e ricco di spunti interessanti, ricordi che tipo di accoglienza e copertura mediatica ricevette all’epoca? Raccolse feedback anche dall’estero o ritieni che il fatto di essere italiani vi penalizzò in qualche modo?
Ti ringrazio per l’apprezzamento! Per quanto riguarda i contenuti di Nothing Will Remain… beh, a quei tempi eravamo tutti poco più che ventenni in una piccola città di provincia del Sud Italia, ascoltavamo i nostri idoli, scrivevamo e suonavamo d’istinto senza ausilio di produttori ed aiuti esterni. Provavamo in un magazzino di un contadino adibito alla fermentazione del mosto e durante le prove ci ubriacavamo per le esalazioni. Molto metal! Riascoltando con attenzione quelle canzoni oggi, però, credo anch’io che la composizione e gli arrangiamenti non fossero per niente male. Ricordo che nella casella postale del gruppo arrivavano ogni giorno lettere di “fan”, interviste o recensioni da fanzine da ogni parte del mondo, il che accadeva già dai tempi delle prime demo. Bellissimi ricordi e sensazioni uniche!
Oltre a Nothing Will Remain, la ristampa offre alcuni bonus decisamente interessanti. Ti va di parlarci del promo del ’91 che finora non era mai stato pubblicato?
Dopo il trasferimento a Torino e il cambio di line-up nel 1991 (Claudio Gentile/voce, Giancarlo Vannetti/chitarra, Pietro “Duracell” Grassilli/basso e me alla batteria), realizzammo un promo di sei pezzi che poi sarebbero finiti sulla versione finale del secondo album, ri-arrangiati e ri-registrati a Torino negli studi Dracma. Meno prodotti e senza l’ausilio del sassofono presente nella versione finale dell’album, ma con un suono decisamente più potente. Il promo fu consegnato esclusivamente alla stampa e agli addetti ai lavori (ricordo di recensioni entusiastiche su riviste specializzate) e dopo pochissimo tempo la Dracma dimostrò interesse proponendoci un contratto per la release di Introspection, che uscì nello stesso anno. Considerato però che quei pezzi nella forma originale non videro mai la luce, abbiamo ritenuto opportuno rimasterizzarli e renderli finalmente pubblici.
Dopo l’uscita dell’album, si susseguirono una serie di cambiamenti di line-up, con la nascita dei The Art Of Zapping e lo scioglimento degli Headcrasher in maniera definitiva nel 1993. Col senno di poi, credi siate stati più vittime delle divisioni interne o di fattori esterni?
Gli Headcrasher hanno avuto diversi cambi di line-up nella propria storia. Le formazioni determinanti però sono state due: quella cosentina di Nothing Will Remain (Claudio Gentile/Voce, Gianpaolo “JB” Brunetti/chitarra, Alex Magnelli/chitarra, Italo “Flebo” Le Fosse/basso e me alla batteria) e quella torinese di Introspection e del promo 1991.
All’indomani dell’uscita di Introspection e un tour con Broken Glazz e Braindamage (Italian Assault), sentimmo tutti il desiderio di sperimentare nuove strade. Io fondai i TAOZ (The Art Of Zapping) e Claudio continuò per un breve periodo con il nome Headcrasher virando verso il funk/grunge. Erano tempi di cambiamenti, sia per noi, sia per la musica metal in generale. Non ci considererei “vittime” però, tanto sapevamo che prima o poi saremmo tornati.
La cosa più sorprendente è, però, trovare un nuovo brano registrato con la formazione originale, oggi riunita dopo un quarto di secolo, che effetto ha fatto ritrovarsi dopo tutto questo tempo?
“In Our Times” è frutto della reunion della prima formazione vosentina (con Gianpaolo “JB” Brunetti e Italo “Flebo” Le Fosse al basso). Tieni presente che al momento viviamo in quattro città diverse (Claudio a Torino, Gianpaolo a Cosenza, Italo in Northampton/UK ed io a Los Angeles), quindi il termine “ritrovarsi” ha un’accezione multiforme. Abbiamo composto il brano a Cosenza in un paio di prove e poi abbiamo registrato in diversi studio sparsi per il pianeta, il missaggio è stato fatto da Carlo Ortolano a Torino. L’effetto è indescrivibile e le sensazioni sono descritte nel testo stesso della canzone, un tuffo nel passato con lo sguardo (forse) al futuro e la stessa energia, coesione e amicizia di sempre!
Dobbiamo aspettarci date live e un nuovo disco o si è trattato di una sola riunione di famiglia per celebrare i tempi andati?
Purtroppo, data la nostra diversa collocazione geografica, l’opportunità di trovarsi spesso per scrivere nuovi pezzi risulta complicatissima. Ti dico però che al momento stiamo valutando delle proposte per alcuni possibili live per il prossimo anno. Vedremo cosa accadrà…
Grazie mille per il tuo tempo, sentiti libero di aggiungere quello che preferisci e a presto nel mondo reale.
Voglio ringraziare immensamente te e i lettori per il supporto dopo tutti questi anni e segnalare le info sulla band. Il disco è ordinabile dalla label o direttamente da noi.
“In our times we are still strong!”